In occasione dell'avvio dell'anno preparatorio al centenario Mario Lodi, promosso dal Comitato promotore e Casa delle arti e del gioco, che porterà alle celebrazioni ufficiali a partire dal 17 febbraio 2022, anche noi vogliamo ricordare questo personaggio nato e attivo nella nostra provincia per quasi un secolo.
Mario Lodi, pedagogista, scrittore e maestro, nasce il 17 febbraio 1922 a Piadena e muore a 92 anni, il 2 marzo 2014, a Drizzona.
“Abbiamo lasciato un segno a chi vuole continuare” aveva affermato Mario Lodi e noi vogliamo raccogliere questo segno e rinnovare il suo ricordo riprendendo alcune idee e insegnamenti.
L'abbiamo incontrato nel giugno del 1980 presso la scuola elementare a Trescore Cremasco dove si era recato per un evento formativo. Con l'umiltà che lo contrassegnava ha accettato un'intervista per “Ipotesi 80”, un mensile cremasco sostenuto dal partito socialista - senza essere organo del partito - con il quale all'epoca collaboravo (foto sotto e nella gallery). A rileggere oggi quella pagina pubblicata oltre 40 anni fa, dal titolo “Viaggio a Vho”, non si può non rimanere stupiti dall'attualità e dalla fecondità delle sue affermazioni, dalla precisione dell'analisi delle contraddizioni dell'istituzione scolastica e dalla critica durissima, ma raffinata nei confronti della scuola come fabbrica del consenso.
Riconosceva come le sue intuizioni venissero da autori e pedagogisti quali Celestin Freinet e ancora prima Francisco Ferrer, intuizioni poi sostenute dal Movimento di Cooperazione Educativa (nato a Fano nel 1951) e confermate dalle teorie dello sviluppo e dalle scienze pedagogiche. Il suo libro “C'è speranza se questo accade a Vho!” - che riporta le esperienze dal 1951 al 1962 - pubblicato nel 1963, passato inosservato, ha in realtà precorso i tempi e focalizzato temi quali la crisi del ruolo dell'insegnante e del metodo trasmissivo, messi in discussione nel 68 e negli anni successivi.
Tra le idee a lui più care l'importante ruolo svolto dall'istituzione scolastica nel formare gli uomini di domani e la convinzione che la scuola debba continuare a sviluppare nel bambino la capacità di esplorare, cominciata dopo la nascita.
Ma la scuola è in grado di adeguarsi al bisogno dell'uomo? Come possono gli insegnanti, che imparano alla scuola superiore e all'università le teorie più avanzate, ma apprendono secondo un metodo trasmissivo, sostenere lo sviluppo che il bambino ha avviato nell'esperienza pregressa?
Come l'insegnante può rispettare il bambino come persona, con quali strumenti?
Obiettivi relativi alla creatività, espressività, logica e comunicazione come si raggiungono?
Quale scuola, perché e per chi?
Ecco alcuni degli interrogativi che Mario Lodi si poneva e poneva e per i quali cercava risposte attraverso la ricerca, la formazione e la sperimentazione di nuovi metodi.
Era molto fiducioso, perché riscontrava molto fermento nella scuola e sosteneva che molti insegnanti e educatori fossero consapevoli di sperimentare un nuovo ruolo e non si riconoscessero solo come semplici trasmettitori di un sapere legato alla classe dominante.
Aveva chiaro ciò che voleva raggiungere e non mancava di offrire spunti di riflessione su questioni attuali all'epoca dell'intervista, quali la psicomotricità, le attività integrative e l'inserimento dei disabili.
La psicomotricità la vedo quasi come una moda, una delle tante mode … si è cominciato con l'insiemistica, lo strutturalismo … oggi c'è la psicomotricità … ma sotto questa attività cosa c'è? C'è il disadattamento della scuola nell'essere uno strumento di liberazione del bambino. Il bambino ha bisogno di muoversi, di usare le mani, di fare esperienze. La psicomotricità supplisce questa mancanza con delle esercitazioni. Si dovrebbe invece partire dalla psicomotricità per arrivare all'analisi critica della scuola ed impostarla in modo diverso … Con la psicomotricità la scuola ha capito che il bambino ha bisogno di usare il proprio corpo, ha esigenze motorie e ludiche.
Durissimo nei confronti delle attività integrative che considerava un escamotage per “non modificare la scuola nella sostanza”. “Si concede l'attività integrativa - affermava - in una scuola che non cambia”.
Da pochi anni era entrata in vigore la legge 517/77 che modificava l'assetto organizzativo della scuola italiana abolendo le classi speciali e inserendo i disabili nelle classi normali e introducendo, per la prima volta in Italia, la figura dell'insegnante di sostegno.
In una scuola dove esiste ancora un rapporto di tipo repressivo e autoritario, dove ci sono degli obbiettivi da raggiungere e che se non vengono raggiunti portano l'insegnante a penalizzare il bambino con la bocciatura, i bambini svantaggiati non possono essere inseriti, perché la diversità non è contemplata in questa scuola. Una scuola a misura d'uomo dovrebbe partire dal bambino, cosi come stimolare le sue capacità e non solo quelle strettamente scolastiche.
Il principio dell'inserimento dei disabili è stato accettato, ma questi bambini sono degli ospiti, sono dentro la scuola fisicamente.
Quando l'insegnante titolare spiega qualcosa di nuovo, l'insegnante di sostegno porta fuori il bambino che ha già difficoltà, allora accade che il bambino diverso viva un'esperienza di segregazione e verifichi costantemente la differenza tra lui e gli altri.
Non ci sono solo i disabili portatori di un handicap ma anche i disabili da benessere.
A questo tema ne agganciava subito un altro, ancora molto attuale: l'influenza dei mass media.
Il cinema, la televisione e i giornali sono strumenti per la trasmissione e non per la costruzione del messaggio. È necessario conoscere questi mezzi.
La televisione come la scuola trasmette dei contenuti, nella scuola in più c'è la valutazione. Il bambino deve sapere che ciò che la televisione trasmette non è la verità, ma è ciò che gli uomini televisivi vogliono trasmettere, la loro è una verità soggettiva.
Se si fa il giornale a scuola, il bambino capisce che anche il giornale è fatto da persone che esprimono le loro idee e quindi anche i giornali dei grandi possono non essere la verità assoluta, ma una verità soggettiva.
Ci troviamo di fronte al bambino televisivo, noi dobbiamo ritrovare il bambino originale e autentico che porta a scuola le sue esperienze e che non deve adattarsi ad un modello precostituito. La scuola deve seguire l'evoluzione del bambino e non viceversa il bambino seguire la scuola. Tutte queste attività che devono essere introdotte nella scuola del fare sono in alternativa alla scuola tradizionale.
Il nostro interlocutore era instancabile ma la lunga intervista si era dovuta interrompere alla stazione di Casaletto Vaprio dove sarebbe passato un treno che lo avrebbe riportato a casa.