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Libreria del Convegno

Il programma del fine settimana

  21/07/2021

Di Redazione

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Venerdì 23 luglio 2021 - Bar Campi, ore 18,30

Presso la Libreria del Convegno di Cremona, si terrà la presentazione del libro:

 

"Drawing as Fighting, Manuale per un disegno da combattimento" 

Con: Marco Bongiorni autore, Ettore Favini mediatore della serata 

Che cosa Hanno in comune un Pugile e un Artista? Cosa condividono La boxe e il Disegno? A queste domande risponderà, venerdì 23 luglio presso la Libreria del Convegno a Cremo- na, l'artista Marco Bongiorni, in una presentazione mediata da Ettore Favini che per l'occa- sione presenteranno insieme il libro “Drawing as Fighting” edito da Mileu Edizioni. 

Drawing as Fighting ultimo libro di Marco Bongiorni è un training book, un manuale di disegno sperimentale che si struttura in una serie di appunti corredati da esercizi esperienziali liberamente ispirati al mondo della Boxe. 

Questo libro accosta due discipline apparentemente molto distanti come il Disegno e il Pugilato, ipotizzando dei punti di contatto tra l'attitudine del disegnatore e quella del pugile. 

Definire il limite, calcolare la distanza, mantenere un ritmo, sviluppare reattività, esprime- re potenza e, al contempo precisione: ecco che cosa devono affrontare il disegno e il pugi- lato. Due mondi simili perché nascono attorno a una serie di vincoli di tipo spaziale, temporale, materico, percettivo e persino linguistico; e proprio in queste limitazioni trovano la capacità di rinnovarsi secondo nuovi ritmi e tracciati di senso. 

Il disegno è un processo complesso, proprio come il lavoro in palestra: non allena soltanto la mano, ma stimola i riflessi, aumenta la reattività, sviluppa concentrazione e resistenza, rinforza la motivazione, prepara a sconfitte inattese e suggerisce strategie e prospettive ina- spettate. 

Un percorso di ricerca e scrittura che nasce in palestra, tra i sacchi pesanti e il tempo scandito dal ritmo della corda, e in studio, dove si “allena” il disegno in un match senza fine contro sé stessi ma anche contro un altro avversario, il foglio bianco, che bianco non è mai. Drawing as Fighting è un Pamphlet sul disegno contemporaneo e sull'arte di illustra- re lo sport, un manuale di disegno sperimentale, ma è anche un libro sul pensiero di un artista, Marco Bongiorni, che raccoglie i suoi lavori sui grandi interpreti della nobile arte, con opere inedite a colori su Mike Tyson, Marvin Hagler, Muhammad Ali e tutti i pugili più famosi degli ultimi decenni. 

Marco Bongiorni (1981) è artista visivo e docente di disegno presso NABA - Nuova Accade- mia di Belle Arti, Milano. Appassionato della “Nobile Arte”, da anni conduce una ricerca sperimentale attraverso l'analisi del disegno contemporaneo in una continua messa in crisi delle sue dinamiche interne, allo scopo di testarne potenzialità e nuove strategie di applicazione. Tra i suoi ultimi progetti ricordiamo: Kangal (Galleria Six, Milano), Drawing as Fighting (Palais de Tokyo, Parigi) e Fleeting Drawing (Harabel, Tirana), Epitome/Head/Fear, Fondazione Rivoli Due, Milano. 

È consulente e creative trainer per progetti di formazione aziendale ispirati al mondo dell'arte con partner internazionali come Artsfor, Trivioquadrivio, Adexia, CFMT, Foot- locker, Gammadonna, Continetal. 

Ettore Favini (1974) l'artista ha esposto numerosi progetti personali in varie sedi, in Italia e all'estero, tra le quali ricordiamo: Carré d'Art Contemporaine di Nîmes, Museo del ‘900 di Milano, Istituto Italiano di Cultura di Tirana, Italian Academy della Columbia University, Man di Nuoro, Villa Croce a Genova. Ha partecipato inoltre a mostre collettive presso Auto- strada Biennale di Prizren, ISCP di New York, Song Eun Art Space di Seoul, Ocat di Shan- ghai, Centre for Contemporary Art Futura di Praga, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, Villa Medici Accademia di Francia a Roma, American Academy a Roma. 

Ha vinto numerosi premi e residenze nazionali e internazionali, recentemente è stato insignito del prestigioso Pollock Krasner Grant per l'anno 2020/21. 

È attualmente docente nel Corso di Visual Art della Nuova Accademia di Belle Arti NABA di Milano e Roma e del Corso di Pittura all'Accademia di Belle Arti G. Carrara di Bergamo. 

SCHEDA LIBRO 

Titolo: Drawing as Fighting - Manuale per un disegno da combattimento Autore: Marco Bongiorni 

Editore: Milieu Edizioni Collana: Frontiere 

Pagine: 224 p., ill., Brossura Milano 2020 

ISBN: 978-88-31977-62-3 

Sabato 24 luglio 2021 - Antica Osteria del Fico, ore 18,15

Riccardo Hale è un ragazzo dalla mente geniale, non ha mai dovuto studiare in vita sua. Quando si trova a vivere dei flashback di ricordi che non gli appartengono, il ragazzo scopre un evento che gli cambierà la vita: l'omicidio di suo padre. Nel frattempo un'organizzazione segreta, venuta a sapere del carattere ereditario di questi ricordi, tenterà in tutti i modi di uccidere Riccardo. 

Claudio Ardigò dialoga con l'autore Nicola Lupi

Domenica 25 luglio 2021 - Antica Osteria del Fico, ore 18,15

Piero Ciampi è stato il cantautore più immeritatamente emarginato del mondo musicale italiano. Di lui dicevano che era stonato, che scriveva canzoni malinconiche, sgradevoli, popolate di vinti e di infelicità. Gli davano del presuntuoso e dell'antipatico e ai perbenisti e gli ipocriti dava fastidio la sua ubriachezza. 

Le invettive del livornese maledetto sono dardi che ancora oggi non fanno prigionieri. 

Di Piero Ciampi si è detto troppo e troppo male. Ciampi prima di tutto è stato un poeta. Di sé egli diceva «Sono un poeta». Troppo amava la poesia fino al punto di rivendicarlo come diritto assoluto della sua identità. Lui pretese che la qualifica di poeta finisse anche sul passaporto. 

Non ha avuto una vita facile e tranquilla, le sue canzoni irriverenti disturbavano, i suoi versi taglienti e la sua vicenda bizzarra e esistenziale erano considerate scomode e quindi da emarginare. 

Piero Ciampi è stato un artista che in vita ha conosciuto una forma malvagia di oblio e di ostracismo.  Questo è capitato spesso a quei pochi grandi poeti che vale la pena ricordare. Ciampi prima di tutto questo era, un grande poeta che non si è mai risparmiato davanti alla vita che lo ha consumato fino alla distruzione. 

«Io sono un poeta, sempre anche quando sbaglio lo faccio da poeta. E posso fare e dire quello che mi pare perché sono un poeta». 

Prima o poi con questo grande e incompreso genio bisogna fare i conti. La voce indimenticata del livornese Piero Ciampi oggi ritorna grazie a Lamantica edizioni. 

La piccola casa editrice bresciana (http://www.lamantica.it/), fondata da Giovanni Peli, ripubblica 53 poesie, la raccolta poetica di Ciampi ormai da tempo fuori catalogo. La prima edizione è del 1973 e la pubblicò la RCA. 

Oggi torna in un volume elegante a cura Enrico De Angelis e con un'introduzione di Diego Bertelli. 

Un' occasione per rileggere la sua travagliata e inquieta vicenda esistenziale che è stata sempre il centro della sua vita d'artista. 

«Le 53 poesie- scrive Bertelli come il resto della sua opera, sono espressione di quello che ha provato, sentito, vissuto. Tutto ciò senza la posa compiaciuta di un certo tipo di letterato. Se di stile possiamo e dobbiamo parlare, esso risponde in prima istanza a regole interne più che inserirsi nel solco di una tradizione specifica». 

Ciampi considerava le sue poesie – canzoni un'alternativa al delitto. Egli canta perché non vuole ammazzare. Ma canta soprattutto perché una sera ha visto Montand che ha fatto uno spettacolo con un bastone e un pianoforte. 

Di questo poeta e di questo straordinario e scomodo cantore è rimasto poco e la sua grandezza irriverente è stata dolosamente dispersa. 

La sua voce macerata, il timbro roco e fondo delle sue parole assassinate dall'alcol, la sua insolenza euforica e capricciosa, sono qui nelle sue ballate disperate di malinconia che raccontano la sua esistenza eccentrica di uomo e poeta estremo che ha vissuto nella consapevolezza che non sarebbe mai sfuggito al destino passionale del suo autodistruggersi. 

Piero Ciampi aveva tutte le carte in regola per essere un artista e soprattutto per essere un poeta autentico che durante la sua breve esistenza ha diviso la sua cena e la sua fame con pittori ciechi, musicisti sordi, giocatori sfortunati, scrittori monchi. 

Carmelo Bene quando morì Piero Ciampi scrisse: «Come al solito, scompare una delle persone eccezionali che abbiamo e ci si accorge di lui troppo tardi». 

Con lui se ne è andato un poeta che aveva scavato come pochi nella disperazione e nel disincanto della vita, intuendo che essa è una cosa che prende, porta e spedisce. 

Un poeta bohème e inattuale che ancora oggi ci lascia addosso un appassionato senso di malinconia e inquietudine tutto da ascoltare, da leggere e da capire una volta per tutte. 

«Tu / spiegandomi / che la vita / è una cosa / seria / mi implorasti / di ignorare / il tuo pensiero». 

Teniamocele strette al cuore queste 53 poesie di Piero Ciampi, il poeta che viveva male la sua vita ma lo faceva con tanto amore. 

  

La vita agra, 53 poesie di Piero Ciampi 

L'unico Ciampi a cui dovremmo dedicare piazze e strade in ogni angolo d'Italia è Piero, perché era tutto quello che non vogliamo più che gli artisti siano: l'amarezza della vita agra, il dolore di essere meschini e non saper essere altro, il sarcasmo, il cinismo, talvolta pure la violenza, in versi, narrata, che è la violenza più dannata, contro quel problema volgare che ci attanaglia tutti: andare, camminare, lavorare. Campare. E farlo per quegli spiccioli con cui comprarsi un'ora di sollievo sopra il collo di una bottiglia, tra le cosce di una sconosciuta, dentro un taxi per nessuna parte o una frittata di cipolle, «cose che non ho mai avuto tutte insieme», raccontò in un'intervista: la felicità è una sigaretta consumata; se arriva, arriva a mozziconi. 

Piero Ciampi era un Modigliani anacronistico, uno nato nella città giusta – a Livorno, in via Roma, praticamente di fronte alla casa natale di Modì – ma pareva avesse sbagliato epoca pur azzeccandola in pieno. Non c'è niente di romantico o decadente nella sua vita raminga e balorda, da bohémienne ottocentesco fuori tempo massimo. Non era uno scapigliato o un dandy; tendeva piuttosto a un epicureismo istintivo e dannato, da eterno insoddisfatto che se ne fotteva della ricerca estetica: era lui stesso l'estetica, la sua vita, la disperazione che gli tallonava il culo, sulla strada, come i poeti beat. Ciampi era il Majorana di Sciascia in fuga dal proprio talento, uno della genia dei Morselli o dei Campana, quelli che faticano a starsi dietro. La sua esistenza accadde tutta dentro al proprio tempo, fu tragicamente novecentesca e tragicamente italiana. Lo intuiva probabilmente pure lui, che non a caso nei primi dischi degli anni sessanta si firmava con lo pseudonimo di Piero Litaliano, tutto attaccato perché la sua era grammatica da osteria, una zuppa preparata con gli scarti di senso. Gliel'avevano dato i francesi, quel soprannome, accentando la O finale, in virtù del pathos tipicamente italico che infondeva alle sue interpretazioni canore. In realtà dentro quella voce, prima ancora che l'Italia, c'era Livorno; e nemmeno tutta: c'era soprattutto il quartiere Pontino dove Ciampi era nato tra il profumo del cacciucco e quello delle puttane, le urla dei portuali e le proteste dei disoccupati, quei vicoli che portavano nomi di canzoni come «via della Disperazione», strada senza autore in attesa del suo Bob Dylan. Processione di un'umanità dolente, assetata di tutto, affamata dalla miseria ma pure da qualcosa che si trova fuori dallo stomaco, fuori dalla pelle, fuori persino dal creato. 

È l'umanità protagonista di canzoni che sovvertono Dickens intorno a un fuoco natalizio dove l'apologo si fa cenere per rinascere controfavola (Il Natale è il 24), che evocano Edgar Allan Poe in una nuova ornitologia dell'orrore, l'orrore squallido dello stentare quotidiano (Il merlo), che erigono monumenti all'artista solo se l'uomo è un irredimibile, un irrecuperabile, un irregolare (Ha tutte le carte in regola). Per certi versi Piero Ciampi è stato il nostro Céline - che conobbe durante il periodo di vagabondaggio in Francia nei locali in cui si esibiva Georges Brassens – il primo punk italiano, però con la chitarra classica: mentre Celentano e Buscaglione accoglievano l'America nel rock'n'roll e nello swing, Ciampi se l'andò a prendere in Francia. Nella sua carriera è venuto alle mani con Califano al bancone di un bar, ha insultato i giurati del premio Tenco, ha mandato a fare in culo il mago Silvan e più volte il proprio pubblico, soprattutto quello dei circoli d'élite, i borghesi, gli intellettuali, di cui gli interessavano solo i soldi. Una volta a Firenze abbandonò il palco dopo aver eseguito a malapena il primo brano, e non sazio sbeffeggiò il pubblico proclamandosi «il cantante più pagato d'Italia, trecentomila lire per mezza canzone»; un'altra volta dilapidò l'anticipo in contanti dalla RCA, ottenuto grazie all'intercessione dell'amico Gino Paoli, spendendolo tutto all'osteria di via dell'Oca, metà in vino e un'altra metà regalata a una prostituta «così stasera puoi fare a meno di lavorare». Era insofferente al successo, più che cercarlo sembrava fuggirlo. Spariva per mesi interi, diceva agli amici di essere in partenza per Tokyo o per l'America, ma poi lo ritrovavano ubriaco al porto di Livorno, isola-mondo di cui si sentiva il Robinson Crusoe; altre volte invece partiva davvero, improvvisamente, senza dire niente a nessuno, per Barcellona, per Stoccolma, per Dublino. A causa di queste fughe mandò in vacca numerose occasioni di svoltare la carriera, come quella volta nel 1974 quando a cercarlo fu Ornella Vanoni e lui risultava irrintracciabile anche al fido collaboratore Gianni Marchetti. 

Era un emarginato, Ciampi, sapeva di esserlo e forse voleva esserlo; si definiva un arrabbiato, descrivendosi con tre aggettivi che sono un preciso identikit caratteriale – livornese, anarchico e comunista – però sul passaporto, alla voce professione, ci fece scrivere «poeta». 

Come poeta Ciampi realizzò una sola raccolta, 53 poesie; gliela pubblicò nel 1973 Ennio Melis per la RCA in un'edizione elegante e spartana, dalla copertina totalmente bianca come il White Album dei Beatles. Resta forse il primo e unico caso in Italia in cui un'etichetta discografica abbia pubblicato un libro di poesie di un cantautore, riaffermando con una sola operazione editoriale quella continuità tra poesia e canzone ben presente alla tradizione romanza, dai trovatori provenzali agli stilnovisti, e poi sdoppiatasi in diramazioni distinte seppur tangenti. Quel volumetto torna adesso in libreria grazie a Lamantica Edizioni, arricchito da una premessa di Enrico De Angelis, curatore dell'ultima pubblicazione in cui vennero ristampate le 53 poesie (Piero Ciampi. Tutta l'opera. Arcana, 1992), un'introduzione critica di Diego Bertelli – che analizza l'esclusività della poetica ciampiana e la sua distanza tanto dalla tradizione lirica italiana quanto dalla sperimentazione novecentesca, mettendo altresì in risalto le affinità tematiche col concittadino Caproni e con la versificazione frammentata di Ungaretti – e una postfazione dell'editore Giovanni Peli. 

Molti dei versi qui raccolti nacquero originariamente come estensioni delle canzoni, alcuni vennero pubblicati nei libretti allegati ai dischi, altri recitati da Ciampi nei concerti tra un brano e l'altro, altri ancora furono direttamente integrati alle canzoni, quasi che quei versi fossero protesi, rinforzi, aggiunte senza le quali la forma-canzone iniziale sarebbe rimasta monca, in qualche modo incompleta. Nell'universo lirico di Ciampi non c'è soluzione di continuità tra i due codici espressivi, poesia e canzone sono forme bastarde, promiscue come un fiammifero / ed una latta di benzina / fanno l'amore / sotto il tetto / di una mano. Si rincorrono a vicenda, l'una strattona l'altra a sé: se nelle canzoni ciampiane la melodia doveva farsi marcia irregolare per stare al passo di una metrica dispari, etilica, frantumata – un mucchio d'ossa raccolte dentro un fosso – in queste poesie i versi cantano da soli, senza musica, echeggiando la voce barcollante e insolente del loro autore. 

Anche nella forma lirica pura la poetica di Ciampi rimane quello che è sempre stata: fragilità in rivolta, vita come strage continua, stupore amaro di animali chini «a sverginare stelle». E quando certi versi d'amore appaiono un po' troppo aggressivi, è perché l'amore si dà in relazione, e la relazione è sangue e merda: un insetto che disfa «la nostra sottile e dolorosa ragnatela», dolori che si aggiungono addosso, mani che sfuggiranno sempre. E se per Ciampi non c'è redenzione nell'amore, tanto meno ce n'è in Cristo, figura poetica che ritorna spesso nelle sue poesie, ma è il Cristo di un ateo, il figlio di un cane non certo di Dio: ora muore investito da un'automobile, ora crepa di emorragia, ora si impicca in mezzo a scimmie che lo emulano. È lo stesso Cristo tra i chitarristi di una sua canzone, un acrobata in bilico su un tubo da cui cade di continuo, un viaggiatore incerimonioso che dimentica la valigia su quel treno schifoso da cui non voleva scendere: 

A mille anni 

ho dimenticato 

in treno 

la mia borsa. 

Dentro 

le poesie 

una camicia 

e qualche fazzoletto. 

Ho messo a soqquadro 

mezza polizia 

la stazione 

e mi guardavano 

come un pazzo. 

A Ponte Sisto 

ho bevuto 

sei litri 

al cubo. 

In Piazza del Biscione 

sono morto

Salvatore Setola

Dall'archivio L'Eco Memo

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Per ricordarLo, l’Associazione, intitolata al Suo nome, annuncia che Domenica 16 agosto 2015 alle ore 11 i Soci ed i dirigenti presenti in città si danno appuntamento presso la tomba per la deposizione di garofani rossi e per un breve e grato omaggio alla memoria di Emilio Zanoni

  martedì 7 giugno 2022

Libreria del Convegno

"La strada si conquista" di Manuela Mellini

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Nel 20° anniversario a Milano maratona per Yitzhak Rabin

La memoria di un uomo di pace nell’avvicendarsi delle immagini, dei suoni e delle parole. Serata in ricordo del Primo Ministro di Israele e Premio Nobel per la pace nel ventennale del suo assassinio.

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Cremona non dimentica

Memoria e consapevolezze della guerra e della dittatura

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