1. Nuovo ospedale…come il ponte di Messina
Caro direttore, mi chiedo come il Comitato del No al nuovo nosocomio, così carino ma poco utilizzabile per la cura dei malati, non ottenga massime adesioni dalla popolazione e, ancora più grave, incassi invece l'indifferenza dell'Amministrazione Comunale... Tirando le somme si é abbracciata la decisione piovuta dall'alto, accettando costi più che ragguardevoli per una struttura inutile, anzi dannosa per il nostro ambiente. Sanità pubblica? Si vedrà!! Sanità privata? Si è già visto! Purtroppo, la linea del governo attuale segue alla grande questo indirizzo…. Rivolgo poi il pensiero alla criticità di quanto sta avvenendo o già avvenuto. Desidero cambiare l'angolazione per formulare un diverso giudizio …In teoria in Regione dovrebbero essere presenti persone più che dotate di buona preparazione e intelligenza.
Fontana in primis. È mai possibile che un qualsiasi Cuccinella architetto di grido (lo si può affermare perché il nostro è un urlo di dissenso unico) li abbia stregati nel “vaneggiare “l'edificazione di un costosissimo nuovo nosocomio …?? La malizia contadina si risveglia … scacciando il pensiero che nella realizzazione di una grande opere, vedi per esempio il ponte sullo stretto di Messina, il denaro si volatilizza …già ancor prima di iniziare, chissà perché …poi i costi si moltiplicano all'infinito …
Non sia prevalsa un'illuminante idea …
Anche qui, visto i tempi che corrono, il tesoretto teoricamente messo da parte si sta sciogliendo come neve al sole …però in cassaforte è difficile esplorare … facile invece non concedere migliorie al “vecchio” nosocomio perché Cuccinella con la sua bacchetta magica farà apparire un complesso avveniristico, qui nella Cenerentola Cremona …
Tutti soldi messi da parte? Non credo …non ne abbiamo e men che meno ne arriveranno…
Tasche cucite quindi ma per proteggere che cosa? Aria fritta? No grazie!
Tra pochi pochissimi anni non vi sarà alcun hospice a Cremona, alcun servizio pubblico ma cliniche private che amplieranno i vari reparti e via di seguito …
Due piccioni con una fava? Perché no, anche Tre!!!
Mi dolgo per tutti i cremonesi che in buona fede, estraniandosi, ne saranno vittima e per chi ha donato diversi risparmi per rafforzare opere a beneficio di anziani e malati.
Rafforzo il mio No all'eliminazione del nostro nosocomio e alla realizzazione di un malevolo ostico pericoloso miraggio. A questo modo non si dovrà poi giustificare la realtà di ritrovare tante tasche vuote!! Che cervelloni dimostra di avere chi ci governa da lassù.
2. Disastro BreBeMi: per l'autostrada solo perdite in 12 bilanci
SPESE ALTE E POCO TRAFFICO (UN TERZO DEL PREVISTO) - In rosso pure il 2023 (-66 milioni), ora servirà nuovo debito per ricostituire il patrimonio
BreBeMi sempre peggio e Autovie Padane, ex Centro-padane, a ruota.
Nei giorni scorsi la BreBeMi, l'autostrada Brescia-Bergamo-Milano, ha reso noto i numeri contenuti nella chiusura del bilancio 2023. A fronte del tono enfatico del concessionario che ha parlato di ripartenza e di boom di Tir i dati confermano una pesante situazione finanziaria. Nel 2023 l'azienda chiude per il dodicesimo anno consecutivo in perdita con un passivo di 66,1 milioni. Complessivamente dal 2012 ad oggi ha maturato 560,7 milioni di euro di passivo.
Le tariffe della BreBeMi sono più che doppie rispetto agli altri concessionari autostradali. BreBeMi è l'unica autostrada che le ha sempre aumentate negli ultimi anni. Sarebbe invece opportuno ridurle per aumentare il traffico ed evitare così che questa autostrada resti una grande opera inutile per diventare un'opera di utilità pubblica dopo aver consumato 900 ettari di suolo agricolo e attivato un mutuo con risorse pubbliche (Bei e Cdp) di 2,4 miliardi di euro che è ancora tutto da pagare.
A 10 anni dalla sua apertura i risultati di traffico sono ancora deludenti e la situazione finanziaria della concessionaria resta vicina al fallimento. BreBeMi si è costruita su un presupposto falso: l'autostrada si sarebbe dovuta fare in project financing, cioè con finanziamenti privati, e si sarebbe dovuta ripagare coi proventi dei pedaggi. Il traffico della A35 è però di 45mila veicoli giornalieri, come una strada provinciale: secondo le previsioni del Piano economico finanziario doveva essere di 120 mila veicoli giornalieri a regime. La BreBeMi doveva decongestionare la vicina A4 Milano - Brescia, che invece continua a crescere: vi transitano quasi 120 mila veicoli giornalieri. Il suo costo era stimato in 800 milioni che sono raddoppiati a 1,6 miliardi durante la costruzione e diventati 2,4 miliardi con il costo degli interessi del mutuo contratto da banche pubbliche, la Bei e la Cassa depositi e prestiti, visto che sul mercato finanziario privato nessuno ha messo un euro.
Per giustificare l'A35 – ora in mano alla Regione Lombardia attraverso Apl (75%) e partecipata al 25% dagli spagnoli di Aleatica – gli enti locali del territorio tra Milano, Bergamo e Brescia avevano fatto previsioni di costi sottostimate e più che ottimistiche previsioni di traffico. Partita con 20 anni di concessione, a 4 anni dalla sua apertura, nonostante gli aiuti pubblici di 320 milioni scattati nel 2015, per salvarla dal fallimento la Regione Lombardia chiese ed ottenne il prolungamento della concessione di 6 anni (da 19,5 a a 25,5) e una nuova opera non prevista dal progetto (l'interconnessione con l'A4 vicino a Brescia) col solo risultato di portare da 900 a 960 gli ettari di suolo agricolo consumato e di aumentare i costi di altri 60 milioni.
LEGGI – Il nuovo Piano di Aspi e i fondi: adesso le tariffe dovranno salire
Oggi, nonostante le recenti dichiarazioni del direttore di BreBeMi, la situazione finanziaria resta fallimentare nonostante il Pef 2023, approvato dall'Autorità di settore, preveda quale principale misura di riequilibrio una nuova estensione della durata della concessione di sette anni, fino al 31 dicembre 2046. È la stessa Deloitte, che certifica il bilancio 2023, a scrivere un “richiamo di informativa” da portare all'attenzione dei destinatari del bilancio. In sintesi Deloitte ricorda agli amministratori che la riserva negativa per coprire i flussi finanziari attesi, 184 milioni, non deve essere considerata nel computo del patrimonio. E che l'effetto della perdita d'esercizio di 69 milioni milioni comporta il superamento del limite stabilito dal codice civile: siccome la società è tenuta a mantenere il patrimonio netto non sotto i 100 milioni ricorrerà a nuovo debito per 69 milioni per adempiere a quanto disposto dalla legge. Nel 2022 si era conclusa la gestione dell'ex democristiano Francesco Bettoni, ideatore, realizzatore e gestore della lunga e costosa storia della BreBeMi. Ora la concessionaria, pur rimanendo sotto il controllo della Regione Lombardia, è garantita da risorse pubbliche sia regionali che statali: è questo il decentramento che piace agli autonomisti, “io sbaglio e tu Stato paghi”. Con la partecipazione in mano ad Aleatica controllata del Fondo investimenti (Ifm) gli spagnoli entrano nel mercato italiano con un investimento a lungo termine, con le perdite garantite dal pubblico, ma non privo di prospettive diverse dal business autostradale. Dato che i tradizionali extraprofitti derivanti dalle rendite di posizione delle concessioni autostradali si sono rivelati impossibili per BreBeMi, ad Aleatica interessa entrare nel cuore del mercato (selvaggio) della logistica italiana, cavalcare sia la prospettiva immobiliare che le piattaforme logistiche.
3. Abuso d'ufficio: permanenza nell'ordinamento giustificata
Il reato di abuso d'ufficio è (ormai era) una fattispecie di reato prevista dall'ordinamento giuridico italiano che punisce quei pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle loro funzioni, abusino del loro ruolo per procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o per arrecare ad altri un ingiusto danno. La sua permanenza nell'ordinamento è giustificata da vari motivi:
- Tutela della Legalità e dell'Integrità della Pubblica Amministrazione.
Il reato di abuso d'ufficio serve a garantire che i pubblici ufficiali operino nel rispetto delle norme e dei principi di imparzialità, trasparenza e correttezza. Questo reato funge da deterrente per comportamenti illeciti e scoraggia l'uso delle funzioni pubbliche per fini personali o di terzi. - Protezione dei Diritti dei Cittadini.
L'abuso d'ufficio tutela i diritti dei cittadini contro possibili soprusi da parte di chi detiene poteri pubblici. I cittadini devono poter confidare nel fatto che i funzionari pubblici agiscano in modo equo e legale, senza favoritismi o discriminazioni. - Corruzione e Malversazione.
Il reato di abuso d'ufficio è strettamente legato alla lotta contro la corruzione e altre forme di malversazione. La presenza di questo reato nell'ordinamento giuridico permette di perseguire condotte che, pur non rientrando esattamente in reati specifici come la corruzione, rappresentano comunque un uso distorto della funzione pubblica.. - Rafforzamento della Fiducia nelle Istituzioni.
Mantenere il reato di abuso d'ufficio contribuisce a rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche. La percezione di una pubblica amministrazione giusta e trasparente è fondamentale per il buon funzionamento della democrazia e per il rispetto delle leggi. - Prevenzione dell'Ingiustizia e dell'Arbitrio.
Il reato di abuso d'ufficio previene l'ingiustizia e l'arbitrarietà nell'azione amministrativa. In assenza di tale reato, i pubblici ufficiali potrebbero sentirsi meno vincolati al rispetto delle norme, sapendo che le loro azioni non sarebbero perseguibili penalmente. - Adeguamento agli Standard Internazionali.
Molti ordinamenti giuridici internazionali prevedono reati simili all'abuso d'ufficio. Mantenere questa fattispecie nell'ordinamento italiano consente di allinearsi agli standard internazionali in materia di legalità e trasparenza amministrativa. - Efficienza e Buon Andamento della Pubblica Amministrazione.
Infine, il reato di abuso d'ufficio contribuisce a garantire l'efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione, evitando che il comportamento scorretto di singoli individui possa compromettere il funzionamento dell'intero sistema.
In sintesi, il reato di abuso d'ufficio rappresenta un importante strumento di controllo e garanzia della legalità nell'azione dei pubblici ufficiali. La sua presenza nell'ordinamento è indispensabile per assicurare il rispetto delle norme e dei principi che regolano l'attività amministrativa, proteggendo al contempo i diritti dei cittadini e promuovendo la fiducia nelle istituzioni pubbliche.
Chiosa
Sanità.Condividiamo per intero il convincimento e la testimonianza di Clara Rossini, i cui perni sono ben conficcati nell'humus dell'etica civile, delle consapevolezze sociali, degli ideali di giustizia. Fortemente destabilizzati nella loro organicità fattuale, figlia di una radiosa stagione riformatrice.
Il diritto universale alla salute è, senza dubbio, la prerogativa maggiormente rimessa nel tubetto da una temperie politica che dura da oltre trent'anni. E che, se non proprio ad apporti politici equivalenti, vede in termini di responsabilità, per ricorrere ad un eufemismo, l'area di centro-sinistra, in posizione non esattamente indenne da compartecipazioni nel disastro contro riformatore. Vero che, a parte la breve parentesi transitoria della ancora rimpianta Fiorella Ghilardotti, il PDS-DS-PD (nel suo immaginifico e mutante profilo progressista) non ha mai avuto ruoli di governo regionale. Vero, però, che su qualche “drizzone” (da perseguire ed ottenere attraverso organiche contrapposizioni progettuale e opposizioni a tutto tondo) alla linea controriformatrice della governance del centro destra, avrebbe potuto rientrare, anche se marginalmente, nelle probabilità dell'esercizio del ruolo di una minoranza, resa tale, più che dagli equilibri numerici, da un consolidato approccio-atteggiamento rinunciatario.
Il centro-sinistra, pur molto concedendo alla retorica finalizzata al presidio del bacino elettorale di riferimento, si è scolato tutto quanto propinato dalla destra formigoniana, forzista e, soprattutto, leghista, dall'”aziendalizzazione” (che ha sradicato la partecipazione istituzionale e sociale dal basso nella programmazione e gestione sanitaria e che ha coniato e consolidato una governance monocratica meramente esecutrice delle peggiori direttive del governo regionale, scandite a colpi di spending review e di manifesto lenocinio della sanità privata e capitalista.
Né può essere esimente e o parzialmente lenitivo, nel giudizio critico nei confronti di trent'anni di minoranza (più che di opposizione) consiliare, il gioco della parte, meramente formale, critica, che, di tanto in tanto, come l'araba fenice, risorge e si appella al bacino territoriale che dovrebbe essere percepito e pratico come costituency valoriale.
In ciò il “campo largo” (accezione configurante l'approdo ad un format giocato totalmente sulla suggestione populistico - demagogica) ha, nella sua dimensione locale fatto di meglio: la doppia faccia con cui al livello regionale fa la faccia feroce in Consiglio e nelle istituzioni e nella realtà locali asseconda, nei fatti, nella neghittosità verso l'enormità del disastro, nell'opacità delle esternazioni (che dovrebbero essere fortemente di denuncia e di contrapposizione di un modello fortemente antagonista), lo stato dell'arte.
Fermiamo qui, in attesa di riprendere più che l'argomento tematico l'organica denuncia (che è diventata la griffe distintiva della nostra testimonianza editoriale), l'analisi degli sviluppi. Da cui non può non essere, criticamente, estrapolata la constatazione che il “competitor” vincente alle recenti elezioni non ha, nei suoi proponimenti per la gestione della consiliatura, mutato di un ette una linea sostanzialmente (soprattutto, sul punto del cosiddetto nuovo ospedale) collaborante con la linea della sanità negata. I cui effetti si inanellano, al di là della volonterosa testimonianza controfattuale degli Uffici Relazioni Esterne, in uno stato di cose ormai irreversibile. Che viene pagato dall'utenza. La “ditta”, confermata, anche a colpi di “bandakabra” e di insulsaggini programmatiche (che non lasciano ben sperare) si è ripresentata senza fare nemmeno un cenno alla questione del diritto alla cura della salute. E, da quel che vediamo all'orizzonte, c'è da temere anche in materia di perseverante inerzia a livello di rinnovo di quel che resta dell'ente intermedio Provincia.
Chiudiamo con un cenno alla testimonianza di un operatore medico. Che stamane ha affidato allo Spazio Aperto dell'autorevole quotidiano cremonese il senso dell'umano e professionale disagio di fronte alla percezione della generale ingestibilità di una deriva che si ripercuote sulla coscienza deontologica e sulla concreta possibilità di corrispondere alla domanda.
Io, medico di base sto per lasciare, dopo quasi trent'anni, i miei pazienti di medicina di base per dedicarmi solo alla dermatologia, la mia specialità. Ho rinviato questa scelta di anno in anno subordinandola ai bisogni di un numero crescente di persone. Il mio congedo e motivato dalla stanchezza (come per tanti miei colleghi), per un impegno divenuto troppo gravoso. In alcune giornate dopo quattordici ore trascorse in studio e a domicilio a visitare e assistere i pazienti, ancora si devono stampare prescrizioni, revisionare esami, controllare cartelle cliniche, rispondere a centinaia di messaggi...Ho provato a non far mancare cure premurose, a far sentire il mio affetto e comprensione con più umanità possibile alle persone, molte delle quali nel corso delle ultime settimane, saputo del mio imminente congedo, mi hanno sommerso di gesti amorevoli, attestazioni di stima e cure in una sorta di ribaltamento dei ruoli. Non era scontato in un'epoca in cui il ruolo dei medici a volte e svilito, contestato e sempre più spesso messo in discussione da superficiali e fuorvianti ricerche su internet.
La nostra testata, fondata dagli apostoli di socialismo umanitario (tra cui il purtroppo dimenticato Giuseppe Garibotti, lungimirante testimone dell'esigenza di modernizzazione e universalizzazione della sanità) sta inequivocabilmente (insieme ai movimenti che lottano per la difesa del diritto primario) dalla parte degli utenti e degli operatori, categorie vessate dalle politiche di sostanziale negazione di questo primario diritto.
Autostrade.Innanzitutto, un convinto ringraziamento/apprezzamento a Dario Balotta sia per questo intervento sia per la dedizione con cui da sempre segue, con lucidità e determinazione la denuncia dei disservizi trasportistici, della dissennata gestione infrastrutturale, della non meno dissennata politica concessionaria. Di cui, almeno per quanto riguarda il contesto lombardo, la periclitante condizione della BreBeMi costituisce un incontrovertibile Picco. Oddio, ci sarebbe, contestualmente e primariamente, la focalizzazione del generale modello di “privatizzazione” dell'asset infrastrutturale-concessionale consolidato della prima generazione autostradale, graziosamente finito, in omaggio alle teorie e pratiche del riformismo economico avviato dal ciclo prodiano, alla mensa della famiglia di Ponzano Veneto. Evidentemente moto stimata dall'oligarchia politica dell'epoca, che, praticando le politiche della deregulation privatizzazione, liberalizzò asset primari, diciamo a prezzo di sconto.
Per dare un'idea il braccio finanziario della famiglia “Edizione” (attenti sciocchini, da non confondere con un costrutto editoriale) acquisì, come si è anticipato, il controllo di ASPI (e molto altro) che, solo per quanto riguarda l'esercizio autostradale annuo, contabilizzava un profitto di un miliarduccio annuo e che, dopo i crucci del privatizza e nazionalizza (in gran parte se non totalmente indotti dallo scandalo del Ponte Morandi, confluì, via Cdp, in un'operazione da 8,2 mld prezzo di vendita con un guadagno netto per il venditore I Benetton di 5,3 mld. Il cui motto applicato alla scesa in campo (dalle felpe alle autostrade, agli aeroporti, agli autogrill) sarebbe stato (tenetevi forte!) “la passione di muovere il Paese”.
Rebus sic stantibus per quanto si riferisce al background che ha mosso le strategie, attivate dal professore bolognese (anche se lo “smacchiatore” conterraneo e ministro Bersani non si può esattamente dire distaccato, con le sue suggestioni deregulation), riferite a tutto lo scibile gestionale dei “gioielli di famiglia” dell'economia pubblica, devastata dall'ansia prepotente di ingraziare al nuovo scenario (della transizione alla “seconda repubblica”) i padroni del vapore (soprattutto, la finanza) interessati a fare buoni affari e, ultimo ma non ultimo, incassare ingenti capitali, con cui (dicevano) diminuire l'esposizione finanziaria dello Stato.
In realtà svendettero importanti asset infrastrutturali (poi recuperati con dispendio di risorse pubbliche), incassarono molto meno del dovuto (regalando alle famiglie “amiche”), non abbassando minimamente il debito statale (perché gli incassi confluirono nell'aumento della spesa statale parassitaria).
Ciò, per quanto si riferisce al senior brother del sistema autostradale italiano, affidato alla branca finanziaria statale IRI.
Ma, per completezza dell'analisi, andrebbe aggiunto che il patrimonio autostradale italiano (al di là del diversificato impianto societario) confluiva alla proprietà pubblica, in quanto comprendeva anche gli asset delle concessionarie di iniziativa territoriale. Tra queste la A 21 (Piacenza Cremona Brescia) e la quasi coeva A22 (Modena-Brennero). Progettate quasi contestualmente dallo Studio Sepi di Trento dei Fratelli Bruno e Lini Gentilini) e realizzate con una tempistica e con un risultato finale, imparagonabili ai contesti successivi. Molto sinergiche (anche con il gestore del tratto A4 e Autovie Venete), al punto da far ipotizzare la convergenza verso una holding societaria e gestionale del bacino padano-triveneto-
Ma, evidentemente le cose non andarono così. E per una serie di ragioni, per la più parte dovute all'imprinting dissociativo dei superiori livelli di governo.
Le due gemellate 21-22 furono messe sotto schiaffo da un atteggiamento ondivago e inconcludente da parte del Governo in materia di rinnovo della concessione.
Operazione ormai incanalata verso un buon (ottimo) fine per la Modena Brennero. Che sta ottenendo il rinnovo concessionale per un lungo periodo integrando una serie di eccezionali benefits per il territorio e per tutto l'asse Brennero; ben tratteggiati dal Governatore nord-atesino Kompatscher un "accordo per gli extraprofitti (temporaneamente incamerati dal concessionario per oltre 230,00 milioni ed estensibili fino a giungere ad un fondo di 1 mld da impiegare per migliorare la viabilità autostradale e nelle zone limitrofe) e un'autostrada come opportunità per i territori". Con l'ovvia aggiunta del completamento della Valdastico, come collegamento tra Vicenza e Trento. In dirittura d'arrivo la procedura urbanistica per il raccordo. Insomma si litiga un po' (come da noi per la Cremona Mantova e il raccordo A22-Cisa) soprattutto sui corridoi d'accesso al corridoio Est e soprattutto tra i destinatari territoriali dell'opera. Che, al di là degli impatti ambientali, sortirà, in ovvia aggiunta ai benefici su tutto il corridoio est ovest nell'incrocio con l'asse Nord, notevoli effetti socioeconomici.
Bel colpo!...indubbiamente che iscrive la tenacia del ceto dirigente della Regione trentino-alto adige nella sintassi di come dovrebbe comportarsi la rete istituzionale territoriale in sinergia coi corpi intermedi sociali ed imprenditoriali.
Cosa che non è avvenuta per la sorella minore A21. La concessione della Società Autostrade Centropadane è scadde (dopo proroghe temporanee) il 30 settembre 2011. L'8 settembre 2011 l'Anas ha comunicò a Centropadane, che, a far data dal 1° ottobre 2011 e nelle more del perfezionamento del subentro, avrebbe proseguito nella gestione secondo i termini e le modalità previste nella convenzione in vigore.
A seguire lo snodarsi di depistaggi, o comunque di tattiche non esattamente ispirate alla precisa volontà di approdare, come sta succedendo quindici anni dopo, al traguardo della A22. Mentre a Cremona, già penalizzata da scelte gestionali che avrebbero “accontentato” in termini di realizzazioni complementari Piacenza e, soprattutto, Brescia (lasciando alla “capitale del Po” l'irrealizzato terzo ponte) c'era il silenzio, a Roma si mossero sulla vicenda il parlamentare cremonese Luciano Pizzetti (Pd) supportato dal piacentino Tommaso Foti (Pdl). “La situazione è complicata – affermava Pizzetti – Stiamo facendo pressioni politiche sull'Anas, sulla Cassa Depositi e Prestiti e sul Ministero dello Sviluppo Economico, guidato da Corrado Passera, per cercare di trovare una soluzione che permetta a Centropadane di tornare ad operare. La società è una delle poche risorse del nostro territorio ed è bene che tutto il territorio faccia sentire la propria voce, altrimenti facciamo la fine del Pendolino. Si muovano insieme gli enti locali di Cremona, Brescia e Piacenza: i Comuni, le Province, le Camere di Commercio. Magari Cremona faccia da capofila perché ci si batta unitariamente: il futuro di Centro-padane deve diventare la madre di tutte le battaglie del territorio”. Già il destino delle Centro-padane era scritto non già, come si suol dire, nel destino; bensì nel cahier dei figli e figliastri. La A21 sarebbe stata (anche grazie alla mano determinante dello sciagurato Ministro Delrio) l'unica concessionaria stradale privata del rinnovo. Manifestamente era stata considerata la più debole da incanalare nello spoil system delle regalie ad alcuni operatori “intraprendenti” del ramo. Da omaggiare! E pazienza se al corridoio padano verranno meno “le opportunità per i territori” ben imperniate nelle consapevolezze trivenete.
I confronti sono un po' arbitrari, ma non totalmente infondati. Almeno dal punto di vista dell'accertamento delle responsabilità di questo stato di cose, di cui non ci lamenta neppure.
Neanche, si ripete, di fronte all'evidenza dell'ingiusto trattamento da parte dei superiori organi. Figurarsi se tra gli addetti ai lavori c'è qualcuno che s'interroga sulle cause e sulle conseguenze di questo processo di marginalizzazione da processi di sviluppo dei progetti di intermodalità infrastrutturale!
Abuso d'ufficio.Sul punto, ci limitiamo a dire che di buon grado abbiamo aderito al richiedente di pubblicarlo nello spazio aperto della nostra testata. La cosa ci sta. Ognuno si assume la responsabilità di ciò che esterna. E, al di là dei giustificati distinguo, siamo convinti che la lettura e la percezione corretta della testimonianza siano utili alle consapevolezze. Su un aspetto di un confronto destinato a non esaurirsi in un approdo condiviso.
Si batta la palla sugli spalti, quando non conviene arrivare al dunque. Si fa catenaccio, invece, quando i players in campo ritengono che sia utile (soprattutto alla narrazione propagandistica) fare il catenaccio. Questa è, come si è ben compreso, la volta dell'abrogazione di un reato, fin qui ritenuto minore nell'ampia declaratoria delle irregolarità nell'esercizio della funzione pubblica. Minore, ma non destituito di motivazioni.
Curiosamente la palla è tornata in campo quando la “curva” dei sedicenti vessati dal rigore giustizialista delle toghe rosse ha rovesciato il tavolo, nell'intento di tagliare le unghie ad un organo arbitrariamente diventato potere, per di più dotato di prerogative (funzionali all'ingerenza nelle dinamiche politiche ed istituzionali) sconosciute agli altri (veri e legittimi) poteri.
Diciamo che un maggior senso di austerità nell'esercizio delle funzioni e la permanenza della giurisdizione nei propri ambiti renderebbero la questione priva motivi “dialettici”.
Ma tant'è…