L'odierna rubrica è dedicata al numero dell'Avanti in uscita per il 2 giugno e all'editoriale di Mauro Del Bue direttore dell'Avantionline; per antonomasia una ricorrenza principe, senza nulla togliere ai meriti di altre testimonianze politiche, della rinascita socialista. Dell'immediato secondo dopoguerra e, speriamo, per le complicate fortune di questo inizio terzo millennio.
Tra vari errori, indotti dalla difficile convivenza tra l'ansia di praticare il pensiero critico e essere protagonista della costruzione di una società giusta e di un ordinamento istituzionale moderno e rappresentativo delle fondamenta liberaldemocratiche e progressiste, non si può imputare al PSI nessuna falla o titubanza nel perseguimento di uno snodo, la Repubblica, suscettibile di archiviare l'eredità del Ventennio e proiettare l'Italia nel novero dei paesi evoluti e di alta civiltà.
76 anni fa si compiva il vaticinio di quasi un secolo di testimonianze civili, incardinate dal versante laico e progressista del Risorgimento.
Prima di essere socialisti Nenni, Turati, Rosselli, Pertini furono e sarebbero stati repubblicani. Il 2 giugno approdava, per la prima volta coll'universale consenso popolare, ad un progetto di modernizzazione e di radicamento stabile ed irreversibile della democrazia in Italia.
Lungo tutta la loro esistenza e la testimonianza civile i “padri socialisti” resteranno ancorati all'impegno di dare congruo sviluppo a questa pietra angolare, attraverso politiche concrete e coerenti con questa premessa.
Non si può affermare che questa ricorrenza sia universalmente entrata nelle corde degli italiani e, soprattutto, sia assunta come snodo di coesione e di identificazione.
Piuttosto, nel divenire della quotidianità politica ed istituzionale, se ne beneficia in termini dei vantaggi di libertà di pensiero e di azione civile, nonché di sviluppo e benessere diffuso; senza, tuttavia, apertamente dichiararla, come avviene in altri contesti occidentali, scaturigine e premessa della nuova Italia.
La stessa celebrazione è stata, nel tempo, affievolita nei suoi fermenti idealistici ed avviata ad una percezione/rievocazione, prevalentemente “burocratica”, quasi d'ufficio.
Quando va bene con un imbarazzante carico di retorica; ma non raramente con un taglio neutralizzato negli idealismi che dovrebbero essere la costante delle consapevolezze civili.
Non ci mancheranno quest'anno né la sfilata militare dei Fori Imperiali né il “ricevimento” nei giardini del Quirinale (mentre persisterà la performance delle Frecce Tricolori, intensamente percepita dal circolo dei fans dell'effimero, come e più degli spettacoli pirotecnici.
Non potremo tornare in piazza, nel senso della testimonianza popolare. Che pure, dopo le prime decadi celebrative, era deragliata (si ripete con il carico retorico e la prevalenza dell'enfasi da parte di figure non esattamente espressione né del sentire né del mandato popolare. E, per quanto malauguratamente si ripetesse secondo questo imprinting, non ci scalderà il sentimento.
Preferiamo rivisitare col cuore e con la mente gli scenari di 76 anni fa; con la pubblicazione di parte del numero dell'Avanti (in uscita tra due giorni) dedicato alla attualizzazione di quell'eredità ideale e progettuale. E, attraverso l'apprezzabile lavoro di Giuseppe Azzoni, col rimando alle testimonianze in diretta de L'ECO DEL POPOLO.
Gli italiani del secondo dopoguerra con umiltà si misero a costruire le case per i loro figli e il benessere per i figli dei loro figli. Si misero anche a costruire un ordinamento che, come abbiamo anticipato, mostra la peggiore falla nell'insuccesso della mission di essere percepito nei suoi valori identificativi e coesivi. Ma che, anche e sopra questa debolezza, ha dato complessivamente buona prova di sé e impone, semmai, la consapevolezza del dovere di alzare lo sguardo sul futuro. E, specie di fronte alle ferite della pandemia e dei suoi devastanti indotti, di rafforzare il convincimento che le conquiste della Repubblica non sono per sempre. Perché, come dimostra il generalizzato affievolimento del modello liberaldemocratico, è molto facile precipitare. C'è bisogno di meno precarietà della vita e del “vaccino” del lavoro, che dona sicurezza e serenità. E del “vaccino” dell'etica civile e della coesione. Se si volesse trovare un tema celebrativo per questa festa della Repubblica, azzarderemmo che “È venuto il tempo per la rifondazione di un paese che fatica a trovare la sua dimensione”.
Una giornata molto particolare
Mauro Del Bue 1 giugno 2021 L'EDITORIALE
La festa della Repubblica di quest'anno viene celebrata più o meno con la stessa maggioranza di quel 1946 in cui i socialisti, grazie a Nenni, festeggiarono ad un tempo, col referendum la nascita dello stato repubblicano e con le elezioni per la Costituente la loro superiorità sui comunisti nella sinistra italiana. Oggi il governo Draghi si regge su un consenso larghissimo come il governo Parri e poi il primo gabinetto De Gasperi a solo un anno dalla fine del secondo conflitto bellico. Allora l'Italia era chiamata a ricostruire il suo sviluppo anche con quel che derivò poi dal piano Marshall, oggi si trova a dover ripartire dopo quasi un anno e mezzo di pandemia, che ha fatto scivolare al meno nove per cento il suo Pil, grazie al Recovery fund predisposto dall'Europa. L'Italia dal 1946 fino agli anni sessanta ha conosciuto il più alto tasso di sviluppo di quasi tutti i paesi occidentali, ma tenendo bassi i salari e costringendo il popolo del Sud ad una faticosa emigrazione al Nord. Ci volle il centro sinistra dai primi anni sessanta a favorire con la programmazione un riequilibrio sociale e, sia pur parzialmente, territoriale. Oggi sapremo noi essere all'altezza di quanto fatto dai nostri padri? Riuscirà l'Italia a risollevarsi dal pozzo in cui è stata cacciata, nelle vesti di Cenerentola, già prima dell'epidemia? Ci attende un compito immane. Le risorse del Recovery andranno spese entro il 2026, mentre in Italia per eseguire un'opera pubblica servono almeno il doppio degli anni. Le manovre legislative sulle semplificazioni e sulla giustizia (per accorciare la lunghezza dei processi e ci auguriamo per riformare profondamente una giustizia malata) sono all'ordine del giorno. Paiono invece deposte in soffitta le riforme costituzionali ed istituzionali delle quali l'Italia abbisogna. Si è bocciato al referendum una proposta organica che toccava i due rami del Parlamento oltre a quel Titolo V, ancor più nefasto oggi, voluto dalla maggioranza ulivista nel 2000. Si é preferito appoggiare una riforma di stampo populista che tagliava il numero dei parlamentari. E che ha ridotto l'Italia in rapporto alla popolazione agli ultimi posti in quanto a rappresentanza nel panorama europeo. E adesso? Si parlava di riformare la legge attinente al rapporto tra parlamentari e consiglieri regionali per eleggere il presidente della Repubblica, mentre ancora non conosciamo con esattezza i nuovi collegi ricavati da questa legge alla luce del taglio né la volontà o meno di procedere a una nuova legge elettorale. Si è zigzagato all'italiana, così per simboli, per singole battaglie vinte, senza preoccuparsi dell'assetto dello stato. Si parla di seconda, poi di terza, e oggi addirittura di quarta repubblica, ma la Costituzione resta quasi interamente quella della prima. Le leggi elettorali ormai non si contano, da quella per l'elezione diretta dei sindaci, a doppio turno, a quella per l'elezione dei governatori regionali, a turno unico, a quella proporzionale con sbarramento al 4% per l'elezione del Parlamento europeo, a quelle a tre quarti uninominale e un quarto proporzionale, cosiddetta Mattarellum, approvata nel 1993 per l'elezione del Parlamento nazionale, poi sostituita col cosiddetto Porcellum nel 2006 interamente proporzionale con sbarramento al 4% per le liste fuori dalle coalizioni e al 2% (ma col recupero della prima lista sotto il 2%) per le liste coalizzate e poi col Rosatellum nel 2018, proporzionale per due terzi, con sbarramento al 3% e maggioritario per un terzo. Questa confusione generale di intenti e di interessi politici non ha intaccato né i poteri del presidente della repubblica né quelli del governo, aumentando solo quelli delle regioni, con l'introduzione di nuovi veti e di materie concorrenti che rendono più problematico il cammino. A questo siamo. Saremo più credibili sul versante europeo e internazionale se decidessimo finalmente di mettere mano a quella grande Riforma che tanti anni orsono un leader socialista ebbe il coraggio di agitare inascoltato. Magari eleggendo, come nel 1946, una nuova Assemblea costituente. Chissà che qualcuno, magari dal cielo, non ci aiuti…
Una unica Assemblea Parlamentare per una "Democrazia governante"
Festa della Repubblica, per una nuova Repubblica
È in uscita il numero dell'Avanti! del 2 Giugno, Festa della Repubblica. In questa occasione il giornale socialista lancia la proposta di una Grande Riforma Parlamentare per una sola Assemblea Nazionale che rimedi ai danni istituzionali provocati dal taglio dei parlamentari. La proposta, illustrata da Claudio Martelli, è commentata favorevolmente sull'Avanti! da un nutrito gruppo di giuristi, tra cui Sabino Cassese, Enzo Cheli, Andrea Manzella, Beniamino Caravita, Francesco Clementi.
"Il contesto attuale - scrive Martelli - che vede un governo del Presidente sostenuto da una maggioranza di (quasi) unità nazionale è il più propizio a una revisione costituzionale nello spirito repubblicano di una riforma chiara, semplice. Gli ultimi due anni di legislatura sono più che sufficienti per una revisione che istituisca un'unica Assemblea Nazionale di 600 membri sostitutiva sia della Camera dei Deputati sia del Senato della Repubblica. In tal modo non solo assorbiremmo in un'unica revisione le varie correzioni necessitate dal taglio dei parlamentari ma finalmente supereremmo il bicameralismo tante volte denunciato e doteremmo la Repubblica di un Parlamento monocamerale pienamente rappresentativo, efficiente ed efficace in linea con le migliori democrazie moderne, proporzionato alla popolazione nel numero dei suoi membri".
Il commento di Sabino Cassese: "C'è un ulteriore motivo per incamminarsi decisamente verso il monocameralismo: l'esistenza, ormai da mezzo secolo, di 20 parlamenti regionali, i quali svolgono, in ambiti limitati, le stesse due funzioni del parlamento nazionale: fornire un consenso all'esecutivo e adottare atti normativi. Non dimentichiamo che la riduzione dei parlamentari aveva un intento di operare un «downgrading» della democrazia rappresentativa, a beneficio della democrazia diretta. Non si volevano tanto ridurre i parlamentari, quanto ridurre il Parlamento".