A Pizzighettone, dinieghi negazionisti a "pietre" didascaliche per la verità storica
Scheda introduttiva
L'innesco del progetto di testimonianza e di divulgazione è rappresentato dall'iniziativa focalizzato un anno fa sulle "pietre" a Cremona. Una testimonianza che elegge come scaturigine la Memoria, generalmente praticata nella Giornata ma che dovrebbe avvalersi di una leva capace di approfondire e di divulgare senza soluzione di continuità temporale.
Soprattutto, partendo dalla opportunità di estenderla territorialmente nei contesti che hanno analogie storiche (i Borghi che furono sede dei Ghetti) e/o, come Pizzighettone, che ebbe in Corso Vittorio Emanuele (la via centrale originariamente dedicata ad Attilio Boldori e poi derubricata dalle giunte dc a gloria degli immondi Savoia) un piccolo ma significativo Ghetto.
Dal 1944 a fine guerra (come ricorda Gianfranco Gambarelli nella sua bella ricerca intitolata FORCHE,GALERE ED EVASIONI Storia delle carceri di Pizzighettone Edizioni Gruppo Volontari Mura 2012), il Borgo dell'Adda, fu, come si direbbe indulgendo ad un corrente anglicismo, un nevralgico gate di partenza di centinaia di giovani diseredati reclusi nell'ultra secolare carcere locale, come conseguenza della loro “irregolarità” rispetto allo "spartito" di un ordinamento ispirato dai canoni dittatoriali e, nella fattispecie, dai un bieco militarismo.
Che da sempre applicava nei propri ranghi, di leva o in servizio permanente che fossero, un implacabile e generalizzato sanzionamento, nei confronti di qualsiasi profilo che si discostasse da dalle rigide regole del combinato della disciplina militare e dalla conformistica obbedienza al regime.
Nel Borgo conviveva con la popolazione residente una popolazione ristretta nelle mura, in una condizione, come precisa Gambarelli, gradualizzata per rango; che andava dal rieducativo, al correzionale, al penitenziale vero e proprio.
Non meno di 500 cittadini (dato stimato anni 30 e metà anni 40) erano internati, sulla base dei canoni repressivi, che si sarebbero caratterizzati e dilatati contestualmente alla destabilizzazione del regime e alle vicende belliche.
Il carcere di Pizzighettone sarebbe diventato il carcere della RSI.
Destinazione in particolare dei giovani che si rifiutavano di essere reclutati in un esercito completamente asservito all'occupante nazista.
Insieme agli “ospiti” d'istituto avrebbero completato un bacino di candidati all'internamento nei “campi” tedeschi.
Tecnicamente la sovrapposizione alla fattispecie alle "pietre" di Gunther Demnig è dedotta per analogia, in relazione alla finalità.
Quel che è certo e va assolutamente divulgato e testimoniato è il medesimo trattamento.
Di tale ineludibile (per i portatori di idealismo antifascista) dovere di riaffermazione di verità storica e di aderenza, nei contesti attuali, dell'indissolubile legame alla "matrice", rappresentata dalla Resistenza, dalla Liberazione, dalla Repubblica, dalla Costituzione, da oltre un anno si è fatta portatrice la convergenza del gruppo consiliare di opposizione, dei segmenti politici ad esso correlati, la testata L'Eco del Popolo, gli aderenti locali all'associazionismo partigiano. Che dal gennaio 2023 incrociano un'incomprensibile opposizione ad un progetto ispirato da una visione trasversale di coerenza all'Italia nata dalla Liberazione. Un'opposizione incomprensibilmente esercitata dal Sindaco, dalla Giunta, dalla maggioranza consiliare che, con la loro improbabile equivalenza tra libertà coartate, in realtà sono mossi da inaccettabili pulsioni (peraltro, comprensibili nel loro retroterra ideologico) che sono il revisionismo/negazionismo. Con cui si vuole, appunto, subdolamente neutralizzare il profilo antifascista della Repubblica e far passare improbabili equivalenze. Per ricaduta, assistiamo nel tempo al rifiuto del governo comunale alla proposta di archiviare la cittadinanza onoraria al Duce (una delle prime conformisticamente decretata da un fascismo locale tra i più ossequienti al farinaccismo, per di più a ridosso dell'orrendo delitto Matteotti, di cui in giugno ricorre il centesimo anniversario) e alla pretesa di "griffare" la celebrazione della celebrazione secondo un inaccettabile omologazione di "tutte le libertà". Una format celebrativo, con cui, a colpi di fanfara e di generico combattentismo/riducismo, viene livellato il profilo di verità storica e di celebrazione, che motiva qualsiasi celebrazione dei perni fondanti della Repubblica nata dalla Liberazione. L'iniziativa delle "pietre d'inciampo " al Carcere delle Mura intende opporsi a questa operazione trasformistica e rappresentare un'anticipazione dello spirito di testimonianza storica e ideale con cui gli antifascisti parteciperanno alle iniziative celebrative della Liberazione. Ovunque e in particolare a Pizzighettone, dove nel 1944 furono trucidati i primi due partigiani Fassolo e Dognini e dove la Liberazione fu guidata politicamente e militarmente dal matteottino Comunardo Boldori, figlio insieme alla sorella Brunilde, di Attilio Boldori.
Una “pietra” immateriale ma simbolica del contesto storico e monumentale in cui 400/500 incarcerati per essere stati, come militari e cittadini, “fuori dal coro” di un ordinamento dittatoriale soppressivo della democrazia e della libertà.
Dal 1943, da queste mura e da queste celle, diventate carcere della RSI, sarebbero stati avviati all'internamento nei lager per il loro rifiuto di essere reclutati in un regime fantoccio sottomesso all'occupante nazista.