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Il 73° della "Liberazione" a Pizzighettone

È cresciuto (forse l’abbiamo immaginato noi) lo sforzo per fare del 25 Aprile un’occasione celebrativa ma anche una festa della Comunità nazionale (visto che il termine “patria” potrebbe essere frainteso)

  09/05/2018

A cura della Redazione

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Con il presente servizio chiudiamo l'ampia panoramica doverosamente dedicata alla ricorrenza della Liberazione. Abbiamo registrato un'ampia e significativa agenda di iniziative rievocative, della cui organizzazione sono stati protagonisti le istituzioni comunali, i centri culturali e bibliotecarie, la rete scolastica, le associazioni partigiane e patriottiche. È cresciuto (forse l'abbiamo immaginato noi) lo sforzo per fare del 25 Aprile un'occasione celebrativa ma anche una festa della Comunità nazionale (visto che il termine “patria” potrebbe essere frainteso).

Ricordare e divulgare il senso di quel cambio di passo, che, chiudendo vent'anni di libertà e democrazia messe sotto chiave e quasi cinque anni di guerra militare e civile, avrebbe proiettato il futuro dell'Italia in una prospettiva di diritti civili riconquistati, di ricostruzione materiale e morale, di progresso anche per i ceti più sfavoriti.

Questo è (o dovrebbe essere) il senso di questa “festa”. Che, tre quarti di secolo dopo, fatica a diventare la cifra condivisa dei pilastri su cui fonda la Repubblica.

Avremo modo, nel contributo che posteremo tra qualche giorno e, bon gré malgré, dovremo dedicare al “contro 25 aprile” del 28, di essere ancor più circostanziati nel registrare la singolarità di una comunità nazionale priva di radici condivise.

Sicuramente, qualcosa va cambiato anche nei registri della modalità di offerta della celebrazione.

L'abbiamo scritto (e lo ribadiamo qui) presentando la cronaca della apprezzabilissima manifestazione avvenuta nella platea mayor di Cremona. Ha mobilitato un apprezzabile numero di partecipanti ed ha scaldato i loro cuori. Ma al cronista, osservatore, commentatore questo non basta. Il rischio è di incamminare il 25 aprile verso un destino celebrativo prerogativa, solo o prevalentemente, di classi di età e di appartenenza culturale in assottigliamento.

Deve tornare ad essere quel che fu nella seconda metà degli anni quaranta: una festa di popolo concepita a maglie larghe. Senza troppi rimandi dogmatici, senza troppi guard rails e, soprattutto, come da troppi anni avviene nel Capoluogo, senza dei titoli di coda del corteo che testimoniano con un'accettabile verve antagonistica (e di odio) l'esatto contrario di quanto la Liberazione dovrebbe trasmettere.

Ci ha riempito il cuore di gioia l'ormai diffusa partecipazione di scolaresche alle manifestazioni. Che con la freschezza dei loro verdi anni, le loro bandierine tricolori, la loro ingenuità e con il loro voler essere vicini alla testimonianza dei pochi sopravvissuti a quelle orribili tragedie trasmettono la speranza che queste generazioni ancora in incubazione faranno meglio di quelle che le hanno preceduto.

Gli schizzinosi osserveranno che, deviando dai canoni di rigore storico, si allungherà il brodo del significato della ricorrenza. Questo è una deriva che non ci tocca minimamente. Pensiamo che la contaminazione con elementi aggiuntivi rispetto alle linee guida della tradizionale celebrazione non ne infici il significato di fondo. Se, poi, mobilitando coscienze e risorse complementari, tutto ciò inclina a far diventare la rievocazione della Liberazione quel che dovrebbe essere (vale a dire la festa di tutti), allora è possibile per questa ricorrenza una resilienza nella centralità del sentire comune.

Ciò abbiamo premesso, per introdurre una breve cronaca del 25 aprile celebrato sulle rive dell'Adda.

Nelle settimane scorse il contesto politico-istituzionale di Pizzighettone aveva scritto (sul delisting della onoraria cittadinanza di una figura innominabile) una brutta pagina, fatta di dichiarazioni inappropriate e di polemiche inaccettabile.

Il Consiglio Comunale, alla fin fine, aveva poi archiviato alla meno peggio una parentesi che si spera non debba riaprirsi più. Alla vigilia del 25 aprile il capogruppo della minoranza aveva minacciato di non partecipare all'intervento del Sindaco durante la manifestazione. Se la minaccia abbia avuto un seguito percepibile non sappiamo. Vero è che la celebrazione si è svolta con una discreta partecipazione di autorità civili e militari, delle associazioni dei reduci, di cittadini. Si è svolta in un clima di serena consapevolezza e di valori civili condivisi.

Fornendo l'occasione per aggregare risorse comunitarie che, a stretto rigore, non sarebbero esattamente centrali nella narrazione di prammatica.

Ma, se partendo dalla festa del 25 aprile, una comunità coinvolge i sopravvissuti di quelle vicende, l'associazionismo ed i cittadini benemeriti, attribuendo loro benemerenze per la loro testimonianza civile e morale, allora si può concludere che la festa della Liberazione comincia ad essere percepita per la sua capacità di aggregare e di unire.

Come sempre dovrebbe fare ogni giorno un Paese (o se più piace, una Patria) che, rientrata, grazie a quel drammatico snodo, nel novero delle nazioni liberaldemocratiche, fortissimamente vuole restare aderente a quel progetto di ricostruzione materiale e civile, di modernizzazione, di sviluppo per la giustizia sociale.

Che sicuramente era nelle ansie e nelle aspirazioni di chi combatté e di chi sacrificò la propria esistenza.

Tale rimando di ordine generale è funzionale all'introduzione della cronaca della parte conclusiva della cerimonia, che si è svolta in località Tencara presso il cippo che ricorda il sacrificio di due concittadini ventenni, Giovanni Fassolo ed Angelo Dognini, caduti sotto il piombo dell'occupante nazifascista all'inizio del novembre 1944. Ciò fornisce l'opportunità di rivisitare brevemente le modalità con cui l'apparato politico-militare antifascista si organizzò ed operò nell'area compresa tra il Po e l'Adda. Non prima di aver ricordato, specie a chi avesse interesse ad approfondire la ricostruzione degli avvenimenti, una vasta bibliografia (Armando Parlato La Resistenza cremonese, ANPI di Cremona in occasione del 30°, il Socialismo di Patecchio Ed.Persico ).

A tale bibliografia ci riferiremo per sintesi nel delineare, appunto, gli avvenimenti compresi tra il 1944 e il 1945 nella zona pizzighettonese.

Va premesso che, nella fase che anticipò e preparò l'insurrezione, l'organizzazione resistenziale operò generalmente, attraverso le SAP (Squadre d'Azione Partigiane ), diffuse gradualmente su tutto il territorio provinciale.

Ed impostate, si potrebbe anche dire, secondo un'articolazione dettata dall'insediamento territoriale delle Brigate socialiste Matteottini, delle Brigate Comuniste Garibaldi e delle cristiane Fiamme Verdi. In cui ovviamente operavano partigiani e patrioti, indipendentemente dalla fede politica religiosa. In tale divisione territoriale, quindi, per sfere d'influenza, il prevalente compito di organizzazione e coordinamento spettò, nella zona Adda-Po, alle Brigate Matteotti SAP socialiste vennero costituite a Sesto Cremonese attorno ad Ottorino Vecchia (capostazione del” trenino Cremona-Iseo” ed operativo come capo-partigiano anche a Soncino; nel giugno 1921, ancora studente, era stato preso a nerbate a Cremona dagli squadristi ), ad Acquanegra, a Crotta d'Adda attorno a Lino Bernocchi, a Grumello e Pizzighettone attorno a Tizzi e ad Alquati. I loro compiti, almeno inizialmente, furono, possiamo dire, elementari: la segnalazione dei movimenti della truppa nemica, l'osservazione dei bombardamenti, il controllo dell'immagazzinamento dei materiali bellici.

Il passaggio strategico successivo fu rappresentato dalla costituzione delle Brigate Matteotti, vera e propria organizzazione militare socialista nel contesto del fronte antifascista. A livello provinciale le Matteotti ebbero come primi leaders il Ragionier Piero Pressinotti, un funzionario bancario (sarebbe diventato il 2 giugno deputato alla Costituente repubblicana ), che dovette ben presto entrare in clandestinità, da cui diresse le operazioni, oltre che di Cremona, anche di un vasto teatro dell' Appennino emiliano, e dall'Avv.Calatroni (sarà nominato il 27 aprile 1945 Sindaco di Cremona dal CNL ). Il gruppo dirigente cremonese del risorto PSIUP si accinse, nelle condizioni immaginabili, a consolidare e ad estendere la struttura interna, da un lato, e, dall'altro, a rafforzare la partecipazione, in vista della lotta armata, al fronte antifascista, alla cui testa si posero, tra gli altri, il Ten. Stefano Corbari (Carlo) ed Angelo Majori (Salvatore ), impiegato del Credito Commerciale e, quindi, collega di Piero Pressinotti. Cui succedettero, in conseguenza degli eventi che tra poco descriveremo, Ottorino Frassi ed Emilio Zanoni (sarebbe diventato successivamente Senatore e Sindaco di Cremona).

Nella zona rivierasca si insediò la 3° Brigata Matteotti, che operò tra Crotta d'Adda e Pizzighettone, agli ordini di Natale Bernocchi (Lino), Carlo Ghisi e Comunardo Boldori. Era questa un'area particolarmente nevralgica sia per il controllo dell'attraversamento dell'Adda sia per la presenza di uno strategico caposaldo militare, rappresentato dal Genio e dell'importante industria Pirelli. Insediamenti considerati strategici dall'occupante tedesco e, quindi, particolarmente, vigilati e salvaguardati dal pericolo di una qualche influenza dell'organizzazione resistenziale. La struttura politico-organizzativa e militare costituì, nonostante le tremende difficoltà, un vero volano di moltiplicazione degli sforzi di capillarizzazione sul territorio, vieppiù procedeva lo stato pre-agonico del regime.

Per le ragioni appena illustrate è da ritenere che, nonostante nella zona non fossero avvenuti scontri armati particolarmente impegnativi, l'apparato politico-militare delle Brigate Matteotti operanti con la 3° BGT non fosse irrilevante. Se da un censimento, per quanto ovviamente possa valere, operato nell'epoca immediatamente successiva alla Liberazione, fu registrata una forza a Crotta d'Adda di 51 attivi residenti, a Formigara di 20, a Grumello di 22, a Pizzighettone di 209, a San Bassano di 5, a Sesto C. di 18. La risposta del regime non si fece attendere e i primi di agosto del 1944, la Guardia Nazionale Repubblicana diede avvio ad una vasta operazione di repressione che culminò, in ottobre, nell'arresto di numerosi militanti socialisti e comunisti; un'operazione, che, per vastità e profondità, arrischiò di compromettere il lavoro, giunto già a promettenti risultati, di potenziamento della struttura politico-militare; in quanto arrivò a decapitare il vertice matteottino con l'arresto del Ten.Corbari e di altri esponenti socialisti di primo piano, tra cui Madoglio di Bonemerse e Severina Rossi di Soresina. Gli arrestati furono trattenuti, in un primo tempo, a Cremona, a Villa Merli, sede operativa dell'Ufficio Politico Investigativo, con i mezzi “ investigativi “ che si lasciano immaginare, e, più tardi, dopo essere transitati dal Carcere Giudiziario di Cremona, a disposizione del Tribunale Speciale, al Carcere Sant'Agata di Bergamo. Compagni di detenzione saranno altri resistenti cremonesi (in totale 42) di fede socialista, tra cui Castiglioni, De Grandi ed il Prof.Franco Catalano (del Partito d'Azione, confluito nel PSIUP nell'autunno del 1947), e numerosi esponenti comunisti di primo piano, quali Arnaldo Bera (che sarà nel dopoguerra segretario del PCI e della Camera del Lavoro e Senatore), Menotti Screm, Sperandio Trivella e Giuseppe Toninelli (Peppo). Tali furono il contesto e le premesse dell'evento, che tolse la vita ai due ventenni, rievocati a Tencara. Al di fuori di ogni retorica maniera, essi furono semplicemente due giovani che, diversamente dai coetanei propensi a salvaguardare l'”onore” dell'Italia fascista al fianco dell'esercito nazista impegnato nelle repressioni e negli eccidi scelsero, dandosi alla macchia, di negasi all'arruolamento nelle file della RSI. E di stabilire contatti con l'organizzazione clandestina della zona, come abbiamo anticipato, la 3° Brigata Matteotti. Il problema principale dei giovani, che, dandosi alla macchia, sceglievano di combattere l'invasore, era di procurarsi gli armamenti. È da ritenere che Fassolo e Dognini fossero nella pattuglia di partigiani, che, all'inizio di novembre 1944, avevano sottratto armi ai guardafili operanti nella zona. Ne scaturì una caccia all'uomo, sotto la regia del segretario del Partito Fascista Repubblicano di Pizzighettone. L'occhiuto ed asfissiante controllo del territorio, esercitato dalle Brigate Nere e favorito anche dalle delazioni, pur di contrastare il vasto fenomeno della renitenza, a forme odiose ed inumane di intervento. Non potendo catturare i due ventenni, la Brigata Nera di Crotta arrestò per rappresaglia due stretti congiunti, minacciati di essere passati sbrigativamente per le armi. Giovanni Fassolo fu in breve catturato ed Angelo Dognini si auto consegnò, in cambio del rilascio del padre e dello zio, il 18 novembre. La mattina successiva i due giovani saranno falciati a Tencara nel Bosco Milanesi dalle raffiche della Brigata Nera di Crotta. A chi alza la voce evocando, magari non a torto, gli eccessi dei regolamenti di conti tra gli opposti schieramenti (fatti che, peraltro, non avvennero nel pizzighettonese) si ricorda un particolare dell'efferatezza e della crudeltà, con cui erano use operare le Brigate Nere. Lo aveva ricordato già alcuni anni fa alla piccola folla, tra cui i parenti dei due caduti, che a pochi passi dalla riva dell'Adda onoravano il cippo dedicato a Dognini e Fassolo, un testimone oculare: Gino Colombani. Era, in quel tardo autunno del 1944, anche lui un ventenne datosi alla macchia, in compagnia di un altro matteottino lungo l'argine della Tencara. Al sopraggiungere di una colonna di mezzi militari avevano cercato riparo nei cespugli della boschina Milanesi, pronti, al bisogno, a tuffarsi nel fiume per raggiungere la sponda lodigiana. Nel volgere di pochi minuti gli automezzi ritornarono verso il centro abitato; lasciando, dietro di sé l'orribile scena dei giovani Fassolo e Dognini trafitti dal piombo (con tanto di colpo di grazia). Per sfregio agli esecutori della fucilazione accesero sigarette tra le labbra dei giovani ormai cadaveri.

Per onorare il valore della testimonianza civile dei pizzighettonesi che parteciparono alla riconquista della democrazia e della libertà, L'Eco del Popolo pubblica l'elenco, quale è desumibile dal censimento effettuato dal Raggruppamento delle Brigate Matteotti, dei partigiani e dei patrioti che parteciparono alla Liberazione nel pizzighettonese.

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