Tra questi uno dei più comuni e riferiti alle cose che non si fanno mai è “sparare sulla Croce Rossa”. Ebbene il putinismo, ovviamente in aggiunta al molto altro che sappiamo, sfata i luoghi comuni. Il suo esercito che fin qui si è fatto conoscere per la non invincibilità e, soprattutto, per la propensione a violare le regole minimali di gentlemen agreement (sia pure bellico), ha spostato i paletti molto oltre, sparando anche sulla Crocerossa. Per comprendere fino in fondo dove volesse e voglia spingere il campione di molti supporters (anche di casa nostra), non occorreva e non occorrerà ricorrere né al luminol né ai cani molecolari. Tanto sono evidenti le tracce di un disegno che, pur di essere dispiegato, non si fa mancar niente. Ha scritto Cazzullo: Putin va fermato… ovviamente con le armi…non con una partita di bridge.
Ma evidente l'ovvietà della riflessione si scontra soprattutto nel paese dei balocchi delle anime belle con l'inviolabilità dei principi pacifisti. Che non vogliono togliere armi all'aggressore, bensì all'aggredito.
Pubblichiamo in questa edizione importanti contributi che consentono ai nostri lettori di allargare la visuale dell'analisi e della riflessione.
Roma Capitale
«Capitale corrotta, nazione infetta», scrisse Manlio Cancogni su L'espresso dell'11 dicembre 1955, a conclusione di un'inchiesta a tutto campo sull'Italia e sulla sua politica. Quest'espressione m'è venuta in mente dopo due giorni trascorsi a Roma, nell'incipiente primavera che tutto abbellisce, nascondendo le magagne.
Ma la benevola primavera non riesce a nascondere le sporcizie che appaiono evidenti in tutto il centro storico sotto forma di mondezza non occultata, sparsa nelle strade, nelle piazze, vicino a negozi di prestigio. Ho immaginato di essere in giro a Parigi nelle zone della politica o a Berlino o a Washington: ovunque la pulizia è maniacale e il biglietto da visita che porgono queste città, almeno nelle aree di rappresentanza, è irreprensibile. Il mite, forse flaccido, Roberto Gualtieri, già morbido, inesistente ministro dell'economia, aveva promesso che nei primi 30 o 60 giorni, Roma sarebbe stata pulita. Non è accaduto e per di più la sudditanza del sindaco della capitale a vigili urbani e tassisti, istituzionalizzata nella mai abbastanza deprecata sindacatura di Virginia Raggi, viene clamorosamente confermata dal suo successore che, a ben vedere nelle vie più prestigiose, non ha mutato di un ette l'imbarazzante situazione.
La connessione, peraltro, tra la fallimentare immagine cittadina e il Paese è così stretta da non lasciare spazi che distanzino la corruzione dall'infezione.
Chi è nel giro giusto (prima di tutto informativo) conosce una delle tante liste di politici, di imprenditori e di influencer che hanno preso soldi da Putin e dai suoi fiduciari. Circolano nomi pesanti che, in mancanza di riscontri, che tanti dicono di avere, non posso riferire, anche per non «mascariare» (verbo siciliano che definisce la tecnica mafiosa di far circolare informazioni -suffragate da testimonianze, appunto, mafiose magari ‘pentitè- infamanti personaggi dello Stato che nella loro attività si sono distinti nella lotta all'illegalità.
Ma rimane il fatto che a Roma circolano nomi importanti cui viene attribuita una dimestichezza impropria -corruttiva e politica- con uomini provenienti dalla Russia con ampie disponibilità finanziarie pronte a essere erogate a chi avesse gradito riceverne parte9 i destinatari.
E se, allontanandoci dall'infezione e dalla corruzione, diamo un'occhiata all'Italia, al contesto europeo, e alla palude nella quale si dibattono temi relativi alla guerra criminale scatenata dal despota di Mosca, ci rendiamo conto che esiste ed è manifesta un'ampia area di compromissione e di indicibile sostegno. I segni sono normalmente subliminali ma spesso trascendono in parole ed azioni di chiaro sostegno alle posizioni liberticide del Cremlino.
Martedì il giornale radio di Radio24 delle 8 e delle 13 definiva le truppe che difendono Mariupol neonaziste. Anche se Andrea Nicastro, valoroso e coraggioso inviato del Corriere della sera, allontanava le accuse di neonazismo formulate dalla propaganda russa e collegate al famoso battaglione Azov. La storia della destra neonazista ucraina racconta che dopo un primo successo post-indipendenza (dell'ordine di frazioni del 10%) essa.si è ridotta a percentuali inferiori allo 0,5%. E altresì racconta che i due battaglioni volontari Azov (entrambi inquadrati nell'esercito regolare) uno dislocato a Mariupol, l'altro in prossimità di Leopoli, non hanno più nulla di neonazista, avendo assunto le sembianze di truppe volontarie pronte a sacrificarsi sino all'ultimo uomo, nella difesa di Mariupol, sin qui tenace, efficace, eroica.
Il Tg del 13 aprile di Radio 1, ha ridefinito Azov battaglione di estrema destra.
La realtà, in definitiva, non rileva molto: rileva il messaggio subliminale che viene trasmesso ad ascoltatori e spettatori non particolarmente attrezzati o dotati di spirito critico.
Mentre viene dispersa la principale testimonianza che proviene dall'universo ucraino: un popolo che combatte per la sopravvivenza della propria nazione e per la libertà, un popolo in armi rappresenta una Resistenza collettiva, generale (ben più generale della nostra medesima Resistenza, malamente rappresentata oggi da un'Anpi priva degli ancoraggi democratici del passato).
Lo stato dell'arte, peraltro, dimostra come il Cremlino, da molti anni, stia mettendo in atto una strategia economica capace di strozzare, al bisogno, l'Europa. Almeno Germania e Italia postesi nelle mani del potere moscovita sia per l'energia come per altri cruciali prodotti. Berlino e Roma hanno incoscientemente infilato il collo nel nodo scorsoio predisposto da Putin e dai suoi oligarchi.
Nessuno, preciso nessuno, si è battuto contro la sudditanza che in questo modo abbracciavamo. Molti hanno ricevuto benefici materiali. Altri non hanno capito e non sono parimenti giustificabili.
Oggi, l'Italia si conferma anello debole dell'Unione europea. Corre la voce che noi italiani e l'Europa siamo succubi della politica di potenza americana. Nessuno ricorda che siamo noi a esserci collocati in posizione di debolezza. Sia quando abbiamo delegato agli Usa la difesa dell'Europa (e oggi alcuni celebrano come un'epopea la lotta condotta 40 anni fa contro l'installazione dei salvifici missili Cruise a Comiso, missili che hanno fatto vincere la guerra fredda all'Occidente con conseguente sconfitta dell'Urss e del Pcus), sia quando, più di recente, abbiamo dimenticato il pericolo russo e siamo entrati a piè pari nella corte degli amici di Putin. Se non ci fossero gli Stati Uniti a difendere il ruolo acquisito nel 1945 nonostante l'inesistenza politica dell'Europa (che ha battuto il primo colpo in occasione del Covid e che ora agisce in ordine sparso) oggi, accanto all'Olocausto ucraino potremmo registrare aggressioni russe alle repubbliche baltiche e alla Polonia.
Certo, qualcosa di nuovo si muove anche nella vecchia Europa. Un moto di orgoglio democratico, il rifiuto del disonore si intravvedono, mentre il gas e il petrolio russi continuano ad alimentare le nostre economie.
La solidarietà non solo umana, ma anche militare, con forniture di armi, si sta manifestando. Il segnale più importante, però, viene da Finlandia e Svezia, pronte a smentire decenni di neutralità per aderire alla Nato: il timore delle mire espansioniste della Russia è profondo e radicato quindi.
Non rimane che ricordare che l'Italia è nelle mani di una maggioranza, in prevalenza filo-russa, che continua a mettere in imbarazzo il suo amministratore delegato, Mario Draghi, alle prese, tutti i giorni, con impossibili mediazioni. Il futuro non è incerto, è nero per le incombenti minacce che la democrazia nazionale e l'europeismo ricevono.
E non emerge, nella diserzione anche del mondo legato a Papa Francesco, alcun margine di riscatto.
Opportunità e opportunismo
Ha pienamente ragione Volodimir Zelenskij ad accusare la Germania e l'Ungheria di intelligenza con il suo nemico a causa degli acquisti di gas e petrolio russo. Il fatto che non abbia citato l'Italia conferma la nostra irrilevanza nella drammatica contingenza bellica.
Ora, è evidente che il versamento quotidiano di oltre 1 miliardo di euro nelle casse del sanguinario despota moscovita è linfa vitale per la sua dissennata campagna militare e per il complesso di esigenze della cleptocrazia al potere. Ma è altrettanto evidente che le grandi potenze mercantili del passato, segnatamente i Paesi bassi e il Regno unito hanno realizzato, mantenuto e incrementato la loro ricchezza facendo un uso corretto dello strumento militare. Se quest'Europa dei bottegai ha raggiunto importanti successi è anche perché l'ombrello americano con i suoi Cruise, le sue truppe dislocate nel vecchio continente e con le sue armi atomiche ha garantito le condizioni di sicurezza di cui l'Europa politica non si è mai occupata.
Ora, bisognerebbe ragionare anche di sospensione dell'import di gas e petrolio russi, una ipotesi che terrorizza il presidente di Confindustria, sostenitore di una autonoma imposizione (italiana) di un prezzo massimo per queste «hard commodities» e che invece è stata approfonditamente esaminata dai più qualificati centri studi europei (francesi e università di Bonn e di Colonia), tra i quali non è compresa l'attualmente decaduta Banca d'Italia. Intanto, Carlo Bonomi dovrebbe prendere atto che un tetto al prezzo potrebbe essere stabilito soltanto a livello comunitario, ma che a livello comunitario è più attuale che mai la possibilità di proclamare l'embargo di gas e petrolio russi, privando il Cremlino dell'immenso flusso di valuta sin qui assicurato, appunto, soprattutto da Germania e Italia. Se pensiamo a noi, non possiamo che riscontrare come non stiamo ancora pagando il prezzo del nostro essere cicale che non hanno visto i rischi che stavamo correndo, rinunciando a una certa autonomia energetica, sull'onda emotiva del referendum di Martelli -che cinicamente speculava sulla disgrazia di Cernobyl'- e sulla leva antiberlusconiana del referendum del 2012, che bocciò la legge nucleare solo per la massiccia partecipazione al voto dei nemici di Berlusconi. Le irresponsabilità di questi risultati e di quello sul referendum costituzionale di Renzi mostrano quanto autolesionistiche siano state le forze politiche nazionali più attente a colpire l'avversario che agli interessi della nazione.
Peraltro, noi non esistiamo ed esisteremmo solo se avessimo abbracciato con fermezza e con comportamenti coerenti una posizione rigida e determinata nel sostenere il popolo ucraino nella sua eroica Resistenza.
Ora, l'Unione europea (Germania, Italia soprattutto) hanno in mano l'arma letale e finale che può mettere fine al bagno di sangue e mettere Putin con le spalle al muro. Un'arma costosa, ma alla fine meno costosa dello stillicidio di una guerra che si consuma nelle stragi quotidiane di migliaia di ucraini (e attaccanti russi) e che, continuando su questa strada ci costerà di più della drastica decisione di chiudere i rubinetti.
Va considerato che i vari centri di ricerca che se ne sono occupati, definiscono conseguenze limitate e gestibili per il combinato disposto delle riserve in essere, 1 anno di autonomia, e i nuovi flussi che si stanno contrattualizzando. Insomma, tagli delle prospettive di crescita del Pil, ma contenuti e gestibili, soprattutto dove -come in Italia- gli effetti dell'attuazione del PNRR daranno ossigeno e tanto all'economia e alla società.
Paul Krugman, l'economista americano Premio Nobel 2008, sostiene anche lui, sulla base delle ricerche econometriche, la sostenibilità della chiusura delle importazioni dalla Russia.
Un'altra questione è questa Germania, a dispetto dei programmi di riarmo appena approvati e fondati specialmente sulla realizzazione di reti di missili antimissile, incapace di riassumere la leadership europea (che nonostante gli sforzi non può essere assunta dalla Francia) che non può optare per il disonore al solo scopo di non scontentare in modo assolutamente parziale i suoi bottegai. È vero peraltro che l'intensità delle relazioni industriali e finanziarie tra la Repubblica federale tedesca e la Federazione russa è la maggiore in Europa come alto è il livello di compromissione di parte dell'establishment tedesco. Ma oggi, mentre continuano le stragi, il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz deve onorare i propri impegni politici e morali per la difesa della democrazia, dell'Occidente e del suo medesimo paese: altrimenti è l'Europa tutta che va in crisi, in una crisi profonda e forse insuperabile, mentre il cancelliere entrerà nella storia dell'ignominia.
Si parla di perdite del Pil nell'ordine di un range tra lo 0,5 e il 3% che impauriscono Berlino, la stessa Berlino che impose alla Grecia una politica di rigore così dura da determinare tagli del Pil dell'ordine del 22%.
La questione energetica non può essere nascosta sotto il tappeto, rimane la principale arma di cui dispone l'Occidente per sconfiggere Putin senza spargere una goccia di sangue europeo.
Credo che alla fine sarà fatale questa scelta (di chiudere i rubinetti) e che noi italiani, a dispetto delle urla scomposte degli amici (pour cause) di Putin dovremo adeguarci.
Il fatto sostanziale è che, senza che ce ne accorgessimo e -ahimé- se ne accorgessero i nostri governanti e i nostri partiti, il mondo è cambiato ed è entrato in una nuova era che si preannuncia drammatica in cui l'unico elemento di dissuasione dalla guerra sarà costituito dall'equilibrio del terrore. Esso forse non basterà, giacché le immagini che vengono dalla Cina, immagini di un popolo in catene e quelle che vengono dalla Russia (il ritorno allo stalinismo puro e duro con Putin che si ispira sempre più al suo predecessore -in questi giorni la Lubianka e il carcere di Lefortovo starebbero ospitando 22 generali dell'Armata e una settantina di uomini dell'FSE vittime della persecuzione del nuovo zar-) fanno considerare impossibile che queste dittature accettino di convivere con il mondo libero: l'inesorabile spinta alla libertà anche dei loro popoli deve essere spenta con l'unico metodo conosciuto dalle dittature, la violenza.
Qualcuno, in questo bel ma disgraziatissimo Paese, dovrebbe porsi il problema di che fare oggi o domani, scontando il fatto -che sembra irreversibile- che Mario Draghi abbandoni Palazzo Chigi per ritirarsi a vita privata, insensibile alla gravità dello stato della Nazione, alle prospettive belliche e a quelle elettorali del 2023.
D'altra parte, il coraggio non si compra al supermercato e chi non ce l'ha, appunto, non lo può raccattare da qualche parte.
Insomma, ci stiamo incamminando sulla contemporanea sussistenza di tante, troppe drammatiche partite rispetto alle quali non siamo attrezzati e non è attrezzato il ceto politico emerso dopo la distruzione dell'establishment nazionale avvenuto nel 1992.
E se Giorgia Meloni ed Enrico Letta appaiono privi dei gravi condizionamenti connessi all'amicizia con “Putin”, essi stessi rimangono alla testa di formazioni politiche prive di caratura adeguata alle necessità e di gruppi dirigenti all'altezza dell'appuntamento prossimo con la storia.
«Ahi serva Italia … di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta …»
Domenico Cacopardo
Un'altra epoca, un altro tono
Mauro Del Bue del 12 aprile 2022 L'editoriale
Mi ha destato impressione e anche un interrogativo la critica di una mia vecchia amica secondo la quale ho cambiato modo di ragionare. Sarei diventato più aggressivo, intollerante, infastidito alle critiche. È vero. Ma é la guerra che mi ha cambiato. Non si può usare il medesimo tono a commentare una crisi di governo e una brutale aggressione a un paese libero e indipendente collocato ai confini dell'Europa. Il massacro di civili non può essere oggetto di un gruppo di studio. L'Europa peccò d'ignavia di fronte alle invasioni di Hitler peraltro incruente. Non voglio anch'io essere condannato in quel primo girone dantesco. Ho alzato la voce e continuerò con tutte le mie forze a condannare un governo che decide di invadere un territorio non suo e gestito in modo democratico e che non poteva costituire minaccia per nessuno. Un paese che vuole entrare in Europa e con giovani generazioni che vogliono vivere come i loro coetanei europei, ingannati da Janukovic, che aveva promesso loro di sottoscrivere il patto economico con l'Ue e che hanno votato un nuovo presidente filo occidentale, oggi é oggetto della più brutale violenza, Mariupol nuova Srebrenica? Il solo motivo per cui forse Putin non andrà all'Aia é che non perderà il potere. All'Aia vanno solo i perdenti. E il solo motivo perché il mondo civile non é sceso in guerra contro queste atrocità é perché la Russia dispone di un potente arsenale atomico. Non perché non sarebbe giusto, ma per paura. Paura legittima e comprensibile e anche condivisibile, ci mancherebbe. Si avverte la fine di un'epoca con questo conflitto che ci riporta indietro di cent'anni. Esaustiva l'intervista di Bill Clinton oggi pubblicata dal Corriere. Già nel 1992 il presidente americano aveva lasciato aperte le due strade: una conversione democratica dell'ex impero sovietico alla cui evoluzione gli Usa avevano riservato stanziamenti cospicui e modi di cooperazione anche in campo militare, oppure un rigurgito di nazionalismo espansionistico e guerrafondaio. In questo secondo caso aveva giudicato quanto mai opportuno che i paesi dell'ex patto di Varsavia potessero liberamente aderire alla Nato, sottolineando il pericolo che oggi correrebbero le repubbliche baltiche e la Polonia se non si fossero premurate dello scudo della Nato. Si può contestare Clinton ma improvvisamente egli non può diventare il nemico di quelli che fino a pochi anni orsono ne facevano un mito. La nuova epoca non sarà multipolare ma bipolare. Tornerà il bipolarismo non ideologico ma economico. L'Europa e l'Occidente, il Giappone, l'Australia avranno bisogno di coesione, di solidarietà, di cooperazione. La Cina sarà il leader del blocco contrapposto con la sua potenza strabiliante e debordante da far divenire la Russia un suo paggio. E con queste due nazioni sarà collegata l'India, ovviamente la Siria, la Libia di parte russa. Se vogliamo reggere la sfida che avrà altre occasioni di conflitto bellico, ad esempio a Taiwan con la Cina che vorrà fare “come in Ucraina”, dobbiamo da un lato costruire subito gli Stati uniti d'Europa anche con lo stato ucraino, e dall'altro chiedere agli Usa uno sforzo di generosità e di solidarietà (altro che America first di Trump) soprattutto per i paesi danneggiati dal blocco con la Russia degli approvvigionamenti energetici. E partire subito in Italia verso l'autosufficienza, che Chicco Testa prevede possa essere raggiunta in 4-5 anni per gli errori irresponsabili di Emiliano e dei Cinque stelle. Ma soprattutto il blocco occidentale ha bisogno di essere credibile, più credibile, nella difesa dei valori di libertà e di autodeterminazione dei popoli. Non si devono più commettere gli errori compiuti con la seconda guerra dell'Iraq e con la Libia. Penso che questa nuova epoca nella quale stiamo entrando imporrà a tutti noi, europei e occidentali, di diventare migliori per reggere la sfida delle dittature e dele autocrazie. A diventare i soli interpreti della migliore civiltà liberale, ieri attaccata da Sud col terrorismo islamico e oggi da Est con la guerra di Putin. È in queste occasioni che le forze espressione di una ricca tradizione di libertà e di equità (penso al secolo socialdemocratico europeo) devono unirsi, compattarsi e presentarsi al mondo col loro aspetto più sano.
La Nato di sinistra?
Mauro Del Bue del 15 aprile 2022 L'editoriale
Ho avuto subito la percezione che l'aggressione russa all'Ucraina avrebbe cambiato la situazione internazionale, prospettando nuove alleanze e solidarietà in un campo e nell'altro, ridisegnando confini politici e territoriali, sviluppando nuovi mercati e modalità di approvvigionamento di materie prima. Si sta verificando e non ci voleva un esperto stratega per intuirlo. Sono state smentite molte previsioni degli addetti ai lavori. La prima è che il conflitto sarebbe durato l'éspace d'un matin. Sono quasi due mesi che si trascina grazie all'eroica resistenza degli ucraini e al supporto, attraverso le sanzioni per mettere in crisi il sistema economico russo e attraverso l'invio di armi della comunità democratica, e non accenna a svanire. Si era detto che la giustificazione di Putin era il progressivo allargamento della Nato ad Est e la richiesta dell'Ucraina di farne parte. Non è bastato a scongiurare l'invasione l'assicurazione che l'Ucraina sarebbe rimasta neutrale né basta oggi l'esplicita dichiarazione di Zelensky di accettare anche la neutralità in Costituzione. Evidentemente non era questo il problema. Come fuorviante era il ricorso a Cuba 62. Nella patria di Fidel Castro i sovietici stavano portando armi nucleari. In nessuna nazione dell'ex patto di Varsavia sono oggi installati missili a testata nucleare offensivi e dalla fine della guerra fredda questi ordigni sono stati smantellati anche nei paesi dell'Europa occidentale, tranne in Francia che dispone di un armamento autonomo dalla Nato. L'aggressione russa risponde a un disegno più volte esplicitato da Putin che ha sempre considerato la fine dell'Unione sovietica la tragedia più grande del novecento, ma ha criticato Lenin per avere concepito l'unione tra repubbliche rimandando il suo rimpianto all'impero zarista. Questa impostazione era chiara, doveva essere chiara, già al tempo della seconda guerra in Cecenia, ma si preferì chiudere gli occhi. Doveva essere chiara al tempo dell'invasione della Georgia e della conquista delle due repubbliche di Ossezia e Oksazia. Doveva essere chiara, nel 2014, al tempo della reazione alla cacciata di Janukovic e del suo governo fantoccio, della presa della Crimea e dell'inizio delle ostilità nel Donbass. Si è preferito non vedere. C'è voluta la brutale aggressione dell'Ucraina per capire e prendere le adeguate contromisure. I paesi baltici, merce di scambio, ai tempi del patto Ribbentrop-Molotov, tremano, ma un po' meno della Moldavia e della Georgia, perché protette dallo scudo Nato, cosi come la Polonia che di quel patto del 1939 fu la vera vittima. Svezia e Finlandia non ritengono la neutralità più sufficiente per la reciproca sicurezza e chiedono di aderire alla Nato. Le due presidentesse socialdemocratiche Magdalena Andersson e Sana Marin hanno chiesto all'unisono di accelerare la pratica. Folle la risposta del falco Medvedev che minaccia di installare sul Baltico ordigni nucleari. Diciamo la verità, in mancanza dell'Onu, sempre più prigioniera di veti che l'immobilizzano, la Nato sta trasformandosi sempre più in garanzia di pace e di sicurezza. Le azioni intraprese per sconfiggere lo stato islamico ne sono una testimonianza. Pur con tutti gli errori fatti, dalla Libia all'Iraq alla fuga dall'Afghanistan, la Nato è oggi un'organizzazione politico-militare con compiti difensivi, che vanno ben rispettati, assolutamente necessaria nella nuova situazione internazionale, che verrà sempre più accentuandosi in senso nuovamente bipolare. Con l'eclissi della Russia del dopi Putin, che potrebbe iniziare prima del previsto, e l'egemonia in quel campo della Cina e sia pure in tono minore dell'India, anche il mercato non sarà più globale. Non bastano le leggi liberiste del Wto, oggi ci sono nuovi vincoli e sanzioni e pregiudiziali. Quando Putin sostiene che il suo gas lo venderà solo alla Cina indica un orizzonte in cui tenterà di muoversi. Quando l'Italia tenta di prendere il gas non solo dall'Algeria ma da altri paesi africani indica un nuovo approdo, quello del Sud, degli approvvigionamenti energetici, che finora puntavano sull'Est. E che dire degli investimenti sulla difesa? Non si era detto che mai più ci sarebbe stata una guerra in Europa? Previsione oggi clamorosamente smentita. E che dunque le spese per la difesa erano inutili? La Germania ha già stanziato 100 miliardi e tutti i paesi europei, meno l'Italia, che ancora rinvia, ma accogliendo l'aumento in termini tendenziali, si preparano a fronteggiare a una nuova fase di pericoli e di incertezze. La destra europea e mondiale ancora cincischia con Putin, scherza col fuoco con l'Europa, ironizza su Biden. Questa nuova fase che si apre per il blocco europeo e occidentale non può essere governata da una destra anti europea e trumpian isolazionista. Non mi fa paura il penoso atteggiamento dell'Anpi, un'associazione di partigiani senza partigiani, né i solipsismi ideologici di Canfora, o i narcisismi dei vari professori che pullulano in Tv col marchio del passato stampato in faccia. Temo molto di più una vittoria della Le Pen in Francia o ancor peggio un revival di Trump alla Casa bianca. Queste tendenze marcerebbero non solo contro il futuro nostro ma per il futuro altrui
La colomba insanguinata
Il Papa ha alzato al cielo l'invocazione della pace dichiarando il suo dolore per le immani sofferenze del popolo ucraino. Basta? Ha parlato con voce commossa e rotta dall'emozione di una guerra che potrebbe portare l'umanità alla sua estinzione. Ha evocato il messaggio di Cristo. Sì, basta. Noi laici non possiamo però esimerci, nel pieno rispetto del messaggio della Chiesa, di andare più in là.
La pace è un obiettivo che va raggiunto al più presto in quella martoriata nazione. Ma come? Con le nobili invocazioni, con la scansione di sacri principi? Innanzitutto bisognerà accertare se la pace la vuole chi ha cominciato la guerra. Che non è un conflitto tra due stati. È un'aggressione di uno stato libero, democratico e indipendente da parte di un altro stato guidato da 23 anni da un oligarca che ha più volte manifestato l'aperta intenzione di ricostruire il vecchio impero russo. E che ha negato l'esistenza stessa dell'Ucraina. Il primo atto che può consentire di fare un passo nella direzione della pace sarebbe l'immediata decisione di farla finita coi bombardamenti, con le aggressioni e le fucilazioni dei civili, con l'assassinio vile di donne e bambini. Se il problema era la possibile adesione alla Nato dell'Ucraina l'aver dichiarato apertamente e solennemente che questo paese rimarrà neutrale avrebbe dovuto conseguentemente por fine al conflitto. E invece il martirio del popolo ucraino continua. Il vero proposito di Putin è conquistare parte o tutta la nazione ucraina e annetterla alla Russia. Qua sta l'incaglio della trattativa. Questo per ragioni politiche ed economiche. E dopo aver scatenato e ribaltato con una sanguinosa guerra il governo ceceno, dopo aver invaso la Georgia, dopo aver conquistato la Crimea e avere appoggiato militarmente il secessionismo nel Donbass per poi riconoscere le due repubbliche secessioniste di Donestk e Luhansk. Dunque la pace va conquistata anche con la resistenza a queste pretese, a questa violenza, a queste brutalità. Nella guerra di resistenza italiana furono molti i cattolici che si piegarono alla necessità di armarsi dopo l'invasione tedesca del settembre del 1943. Lo fecero anche alcuni preti che salirono sugli Appennini a sostenere in tutti i modi chi combatteva e alcuni di loro ci rimisero la pelle. Non erano pacifisti? Avevano smarrito il senso del messaggio cristiano? No. Sapevano che il male non lo si accetta supinamente, senza reagire. E che il messaggio di pace e di amore di Cristo non può trionfare dove esiste il sopruso, dove si esercita la mostruosità. Ma non voglio addentrarmi nei meandri del messaggio cristiano. Solo dico che Gesù non accettò mai l'ingiustizia e la prevaricazione. Dunque la pace sia nella giustizia, nella libertà e nel rispetto all'autodeterminazione dei popoli. Altrimenti non sarà pace. Ma subalternità al regno dei più forti. Sarà solo supina accettazione delle aggressioni altrui. La colomba pasquale oggi è ferita. È stata colpita da una scheggia di un missile che non ha rispettato nemmeno nella santa Pasqua il suo valore simbolico di indipendenza, di libertà e di amore.
Riflessioni di Giuseppe Azzoni sui dintorni “dialettici” della crisi ucraina
Vorrei portare alcune considerazioni su luoghi comuni, relativi a due argomenti attuali meno lontani tra loro di quanto parrebbe, ambedue resi cogenti dalla tragica guerra in Ucraina. Il primo è la abusata attribuzione dell'aggettivo "sovietica" alla sciagurata invasione della Russia in Ucraina. Una aggressione che come tale travolge anche alcuni argomenti plausibili per la stessa Russia e non si giustifica in alcun modo. Comunque i "soviet" non c'entrano niente. È una guerra che si pone in continuità col filone storico dell'impero zarista granderusso, Stalin ne fece propri alcuni tratti. Lenin ed i soviet ne erano agli antipodi: la terza Internazionale comunista nacque in contrapposizione alla guerra in quanto tale ed ai nazionalismi tanto più se imperiali. Del resto, poi, il regime di Putin e dei suoi oligarchi sortì dalla appropriazione delle ricchezze russe da parte di alcuni "privati" già in posizioni di comando dopo la caduta di Gorbaciov. Si instaurò così un potere nazionalistico ed autoritario che proprio coi soviet di Lenin non ha niente da spartire. Il secondo argomento sembra lontano da tutto ciò ma deriva anch'esso dalla situazione che questa guerra sta arroventando. Un "mercato globale", che rende costi, ricavi, energia, materie prime, speculazioni fuori controllo, impone al nostro Stato pesanti rinunce nelle entrate erariali a fronte di gravosissime spese. A fronte di ciò l'attuale governo pare debba prospettare misure volte ad evitare limiti invalicabili per il debito pubblico ed a disporre però di risorse che facciano fronte alla emergenza sociale ed economica che avanza. Misure da discutere certamente, ma ritengo assolutamente impropria ed assurda la stanca ripresa, da parte della destra politica e delle classi più ricche, degli slogan per cui lo Stato, quasi come un borseggiatore, vuole "mettere le mani nelle tasche degli italiani". Per moltissimi italiani purtroppo le tasche sono vuote, per pochi non si tratta di tasche ma di bauli. Lo Stato deve assicurare un equilibrio tra entrate e spese per un vitale svolgersi delle fondamentali funzioni della società. Lo deve fare, in un quadro europeo, con i criteri di equità proporzionale che la Costituzione prescrive.