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Focus Ponchielli/6

Tanto tuonò che (fortunatamente) uscì il sole

  22/12/2021

Di Redazione

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La nostra pubblicazione dell'intero cartellone della stagione 2021-22 scaturisce sia da una doverosa divulgazione tra i nostri lettori sia da un calcolato pretesto per ricondurre l'attenzione ai languori succeduti ad una stagione al calor bianco. 

Innanzitutto, l'annuncio del cartellone, che sottende la ripresa della mission, è di per sé una doppia buona notizia; se non altro come attestato della permanenza in vita e come implicito, ma non scontato, gesto di archiviazione di un ciclo non esattamente virtuoso e fecondo. 

Ora, imponendoci di valutare benevolmente il primo passo del nuovo percorso del teatro (comunale) cremonese e ad un tempo di associarci ai migliori auspici (che trarrebbero vantaggio da un abbandono delle contrapposizioni), pare a noi doveroso, per tutto quanto in materia abbiamo scritto in regime da “fuori dal coro”, riprendere l'argomento non da scordarelli. 

Sul cartellone della nuova stagione (vedasi il pdf allegato in calce), su cui facciamo scongiuri perché si svolga in consapevole sicurezza e riprendendo il giusto bandolo della matassa, desideriamo dire qualcosa, che data la nostra competenza tematica ci fa sentire al livello della casalinga di Voghera. 

Se da non proprio ignorante, ma da competente a minimo sindacale, ci pare di poter valutare una guideline ben strutturata. assortita, lontana dai luccichii del passato. Biglietti e tariffe non esattamente popolari, ma sempre competitivi con i posti in tribuna dello stadio. Speriamo che ciò serva a un "drizzone" al malfermo equilibrio, lasciato in eredità.  Cominciando coll'inculcare l'idea che la fruizione dei servizi della cultura e delle arti non è "a gratis" o a prezzo politico. Dispensati, colpevolmente, ad un parterre di users per la gran parte appartenenti ai ceti abbienti. Fu questa la ratio che ci orientò, ad inizio anni 80 del (ahimè) secolo scorso, a municipalizzare il teatro cittadino. Approdato inesorabilmente ad un modello gestionale molto simile alla governance sovietica. Anche dal punto di vista della fonte e della durata della funzione. 

L'idea che sia crollato questo muro, che non avrebbe così a lungo e così arcignamente resistito neanche Oltrecortina, potrebbe (covid 19 permettendo) reclutarci nuovamente nella schiera degli spettatori. Una gestione della transizione, un po' meno autoreferenziale, ci avrebbe risparmiato una non edificante baruffa da ballatoio. Ma i tempi sono questi e il convento passa questo.  

Altra cosa, però, sarebbe fingere che l'orrore di una gestione durata trent'anni, pervasa da senso di autoreferenzialità e da certezza di non render conto; che le baruffe chioggiotte di un anno addietro in materia di “quiescenza” dell'immarcescibile “zarina” e di cambio del management…sarebbe imperdonabile e non esattamente utile ad una auspicata “remuntada”. 

Scriviamo ad nauseam (per l'insistenza, speriamo non per la stravaganza) che quasi nessuno dei perni (ad eccezione della riqualificazione strutturale del teatro) costituenti la mission del teatro comunale è stato colto negli ultimi trent'anni. 

Tutto è andato avanti, ad eccezione del caricamento dei conti, in continuità con il format dello storico “condominio”. 

Panem et circenses, per compiacere il sentiment del bacino degli habitué e ruffiana soggezione al potere politico che invece avrebbe dovuto monitore l'aderenza fattuale al progetto della municipalizzazione. 

Ma di ciò non si parla più. Perché l'argomenta imbarazza o infastidisce sia il partito del conformismo durato un tempo assurdo sia l'opposto fronte che avrebbe dovuto ancorare il cambio di fase al perno motivazionale. 

A suonarci il campanello d'allarme sono stati alcune ore fa due giovani concertisti. Che scandiscono “Cremona città della musica ma è ancora senza orchestra”. 

Già, era più che nei conversari nel progetto della municipalizzazione. Invece, come giustamente rilevano i due giovani talenti: “al Teatro Ponchielli e al Museo del Violino vengono a suonare musicisti da fuori, italiani e internazionali”. Mentre giovani talenti autoctoni e formati dalla filiera cittadina sono costretti a trasmigrare. 

In 30 anni su questo terreno, totale tabula rasa. Anzi, fino a fine anni 80, operò un eccellente coro, diretto dal maestro Regis; ma si preferì l'outsourcing di gruppi generalmente non equivalenti. 

Che senso ha aver un Teatro cittadino stimato (nonostante…), un impareggiabile Museo del Violino/Auditorium, un Teatro Filodrammatici (forse l'unico sodalizio artistico impegnato nella formazione), un Teatro Monteverdi, se non vuol minimamente disporre di una produzione musicale in proprio? 

Mentre si continua a sfornare cartelloni nell'ottica del terminale delle agenzie. 

Segnali in controtendenza dovrebbero venire soprattutto da qui.

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