Abbiamo, per via induttiva, pescato il titolo da una massima di Foucault: “La verità è brevissima. Il resto è solo commento”.
E la verità è che Cremona è stata messa a ferro e a fuoco per un’intera giornata e la sua vita ordinata è tuttora messa in sospensione da una “scazzottata”; coda (imprevista? imprevedibile?) di un incontro di calcio e prodromo di uno scenario ben più complicato.
Tutto ciò è avvenuto con un assalto pianificato di tipo militare. Di fronte a tale incontrovertibile evidenza, è giunto il momento, se si vuole stroncare, sia pure tardivamente, un’escalation dagli esiti imponderabili, per uno sforzo interpretativo dei fatti. Che impegni l’onestà intellettuale e l’etica della responsabilità di ognuno. Specie di coloro che sono officiati di funzioni pubbliche.
Sarebbe un gravissimo errore affrontare l’analisi come se la resa dei conti tra i Centri Sociali di opposta fede politica e la progressione geometrica dello scontro, avvenuto in meno di una settimana, rientrassero in una scansione circoscritta; nel tempo e nei fatti.
Nell’edizione di venerdì 23, all’apice della campagna buonista ed ipocrita di presentazione della manifestazione “antifascista”, osservavamo: “Non tutti se lo ricorderanno; ma le scene della città, posta sotto assedio da, come si suol dire, facinorosi interessati solamente ad un scontro poco dialettico, sono state ricorrenti ed inquietanti.”
L’assuefazione alla mitigata percezione del fenomeno, portato da inconsiderati cambi di fase e di tendenze all’attenuazione dei presidî della democrazia e della libertà, non costituisce né giusta causa né tanto meno esimente.
A meno che ci si debba abituare, gradualmente ma ineluttabilmente, ad una sorta di sacrifico rituale. Che avrebbe come esito il sovvertimento di quel complesso di valori e principi, che, con la Liberazione e la Repubblica, hanno incardinato la nostra comunità nazionale.
Sia, a questo punto, ben chiaro che lo scenario bucolico del mulino bianco (semmai, in aggiunta a quello pubblicitario dei prodotti da forno, ve ne sia stato un qualche altro) non c’è più.
La storia, ammonivamo, non è scritta una volta per tutte e può ripetersi. Così come le acquisizioni e le conquiste, politiche e sociali, non sono per sempre.
Indubbiamente, il cambio di passo, intervenuto un quarto di secolo addietro, integrante la derubricazione della politica al livello di pensiero liquido e debole e l’associazionismo al rango della leggerezza, qualche effetto, prima o poi, doveva marcarlo.
Il leaderismo, il personalismo, la frammentazione, cardini della new wave post-ideologica, prima o poi, avrebbero presentato il conto.
Quanto è avvenuto a Cremona e, prima di Cremona, a Genova col G8, a Roma due anni fa, a Napoli, in Piemonte col no-TAV, dimostra che, quando si sguarniscono i perni comunitari della convivenza civile, l’impianto liberaldemocratico è fortemente minacciato. E la sua difesa non può essere affidata unicamente alla risposta militare.
Sempre restando nelle premesse, si annota che una testata di approfondimenti, qual è L’Eco, si avvale indubbiamente della prerogativa di scansare l’ansia dei ritmi e degli incombenti della cronaca.
Ciò non di meno, possiamo garantire i lettori, di aver seguito la vicenda con la stessa coscienziosa applicazione. Sia avvalendoci dell’eccezionale lavoro informativo delle testate e delle emittenti cremonesi sia, ancorché privi dei loro supporti, di un’osservazione diretta, de visu, degli avvenimenti.
La rivisitazione della scansione dei fatti, quindi, è conseguenza tanto della riflessione sugli annunci e sulle testimonianze quanto, soprattutto, della partecipazione in diretta agli eventi cruciali.
Cominciamo dal monitoraggio-analisi della filiera dei pronunciamenti, con cui si mirava ad “abbracciare” la manifestazione “antifascista”.
Il carrousel dei (quasi tutti) buoni proponimenti inizia il 20.1.2015 con Giampiero Carotti, del Comitato Acqua pubblica: “un abbraccio collettivo al Dordoni e in particolare ad Emilio, vittima di una feroce aggressione fascista e di un modo di fare lotta politica che si basa sull’eliminazione fisica dell’avversario “.
Dall’ANPI, da settant’anni impegnata in una testimonianza antifascista coerente e responsabile, viene una: “condanna totale ma anche opposizione all’esistenza in città di gruppi e organizzazioni fasciste: nessuno spazio, né fisico né culturale, né pubblico né privato, a organizzazioni razziste e fasciste “.
Da Lapo Pasquetti, stimato leader locale di Sel, viene, in segno di adesione alla protesta, un chiaro messaggio: “ribadiamo la nostra opposizione alla presenza di una sede di Casa Pound in città e rinnoviamo la richiesta alle istituzioni di prendere drastici provvedimenti per motivi di ordine pubblico e per il rispetto della costituzione antifascista”.
La sinistra massimalista, come ben si sa, pur non condividendo certe modalità di lotta politica, non ha mai preso larghe distanze dalla sinistra antagonista e tende a catalogare certe “intemperanze” nella categoria comportamentale dei compagni che sbagliano.
E, diciamolo pure, questa catalogazione, che, dall’eversione brigatista in poi, costituisce un file rouge, è funzionale anche ad esigenze di ammiccamento dettato da non nobili aspettative di ritorno elettorale (deluse, bisognerebbe aggiungere, in considerazione delle performances elettorali da prefisso telefonico e dall’irrilevanza politica).
Ma tant’è, l’esponente cremonese di Rifondazione Comunista, Celestina Villa, peraltro assessore delle Giunte che presumibilmente accordarono il comodato della struttura comunale di Via Mantova al Centro Dordoni e più tardi del Kavarna, assicura, con evidente sprezzo del ridicolo, che: “Gli attivisti del Dordoni non sono mai fisicamente aggressivi, magari su certi temi prendono posizioni intransigenti, che si esprimono senza troppi giri di parole, però non risulta abbiano mai aggredito volontariamente e premeditatamente qualcuno… prendono posizioni intransigenti, che si esprimono senza troppi giri di parole “.
L’endorsement locale verrà certificato qualche giorno dopo, addirittura, dalla partecipazione del leader nazionale Paolo Ferrero, indimenticato ministro nei governi dell’Ulivo, insieme all’altro comunista Diliberto (che, in qualità di ministro della Giustizia, accolse all’aeroporto di Roma una terrorista condannata ed estradata dagli USA). Nella circostanza, Ferrero, emulo del guareschiano compagno Brusco, non si farà mancare, ancora a caldo dei drammatici eventi, una rampogna non esattamente serena e poco o punto rispondente all’evidenza dei fatti: “Il corteo antifascista a Cremona è stato caricato dalla polizia mentre i fascisti che aggrediscono agiscono sempre indisturbati: è una situazione vergognosa ed inaccettabile”.
Come si vede, calava a Cremona la compagnia di giro, cui le performances dei no global iniziate a Genova con il G8 continuano a stare tutt’altro che indisponenti. Per intenderci, quei no global, di cui faceva parte il povero giovane, che, occasionalmente, tentava di massacrare, con un estintore, dei pari età inquadrati nella Polizia di Stato. Come risarcimento dell’atto di eroismo, va sempre ricordato per comprendere meglio i coming out recenti, la mamma sarebbe stata eletta al Senato nelle liste di Rifondazione Comunista.
Tra i maîtres à penser dell’antagonismo non può non essere segnalato il “contributo” di Giorgio Cremaschi, ex segretario della FIOM CGIL e “oggi solo un compagno”. In pensione mi sono-auto rottamato e sono venuto qui perché ritengo che ci sia troppo sottovalutazione della crescita della deriva fascista”
Il 22.1.2015, il Sindaco, corroborato dai referenti delle organizzazioni partecipanti, emana un indirizzo ecumenico: “Cremona è una città antifascista che ha dato un contributo anche di sangue nella guerra di liberazione. Cremona città della pace, contraria ad ogni forma di violenza e prevaricazione, città che lavora per una convivenza più giusta, che guarda ai più deboli e che costruisce occasione di dialogo e di confronto. Ribadiamo il nostro impegno ad arginare con fermezza ogni forma di deriva fascista, antidemocratica ed eversiva.”
L’accattivante messaggio, in cui è implicito, da parte delle istituzioni e dell’associazionismo embedded, un appeal verso il Centro Dordoni ed i correlati manifestanti in arrivo, tende manifestamente ad avvalersi dell’accreditamento delle parti famigliari in causa.
Il 24.1.2015, la mamma di Mario Bini (fondatore ed anima del Centro autogestito), rivolgendosi ai compagni antagonisti, raccomanda: “Mario mi diceva sempre che dall’esperienza aveva imparato che la violenza non paga mai. Mi rivolgo ai manifestanti: no alla violenza e rispetto della città “.
Mari Santi, per vent’anni abbondanti al fianco del leader degli antagonisti cremonesi (ed essa stessa protagonista per lo stesso periodo di una militanza un po’ border line e per questo attenzionata), ricordava: “Mario diceva sempre che alla violenza non si risponde con la violenza, ma con l’intelligenza. Lui ogni azione la ragionava, la ponderava. Se fosse stato ancora qui certamente avrebbe voluto la manifestazione antifascista, sicuramente con contenuti democratici, ma con un profondo rispetto della città che amava.”
Magari, Mario (recentemente scomparso; cosa di cui ci dispiacciamo), si sarà pure confidato in questi termini con la mamma e con la compagna, ma il suo non fu sempre un profilo militante ispirato dal ripudio della violenza.
Tra le tante testimonianze in tal senso, spicca il fatto che il 20 aprile del 1999 fu alla testa del Kommando degli Autonomi che occupava e devastava la sede dei DS.
Il clima da presepe dei buoni propositi raggiunge il diapason con la lettera-appello della moglie dell’antagonista agonizzante in ospedale (altro fatto che umanamente ci addolora): “Chiedo che domani a Cremona il corteo possa azzerare la brutalità di Casa Pound, con una manifestazione grande, partecipata da tutti e responsabile”.
Ma il presentimento che il back office della manifestazione stesse in realtà preparando ben altro tipo di testimonianza è implicito nelle dichiarazioni, sempre più circospette e preoccupate, dell’establishment.
La Provincia, il 23.1.15 titola: “ultimi ritocchi al piano sicurezza- appello da Comune e Associazioni-
Spetterà al Questore, Vincenzo Rossetto, che si è riservato di condurre un’ultima serie di valutazioni alla luce degli elementi raccolti anche nelle ultime ore. Molta attenzione viene riposta nell’arrivo di manifestati da fuori provincia. Sono frequenti i contatti con le altre questure per capire chi arriverà a Cremona e in che numero.
Scrive la Giunta: tutti i firmatari confidano nel senso di responsabilità di tutti ed auspicano che la compostezza dei comportamenti impedisca che ragioni democratiche diventino torti agli occhi dei cittadini che dovessero ritrovarsi la città ferita e sfregiata.”
Un giorno prima, Andrea Galli sul Corriere osservava: “a Cremona è ormai una guerra di posizione, anomala per questa provincia tranquilla e ricchissima, eppure centrale per le “ strategie “ e la “ campagna elettorale “ (in vista di Expo del fronte ampio dei no global).”
Ma i titoli di coda della filiera della dezinformacija depistante saranno prerogativa del Dordoni: “sotto accusa chi ha difeso il centro mentre tra gli aggressori un solo deferito per Daspo violato “
Alessandro e Leopoldo (accuratamente lasciati privi di cognome), dopo la recriminazione di prammatica, assicurano: “Sarà un corteo partecipato. Deciso. Determinato. Aperto a tutti i modi di esprimere l’antifascismo. Saranno presenti varie associazioni, molte già in strada con noi lunedì scorso. Sarà una manifestazione per Emilio contro il fascismo, che non riguarderà solo Cremona ma tutta Italia. le indicazioni fornite ai partecipanti sono ben precise. E faremo in modo di allontanare gli eventuali infiltrati “.
Circostanza degna di evidenziatore: “Al termine dell’incontro con i cronisti i due antagonisti hanno incontrato l’On: Franco Bordo e il portavoce provinciale di Sel che hanno rinnovato la condanna all’aggressione a Visigalli.”
Date le premesse, non sarebbe stato improbo il ruolo di cassandre a minimo sindacale!
Sabato 24, a mezzogiorno, L’Eco del Popolo osava: “Saracinesche abbassate (condizione assolutamente minoritaria, visto che la gran parte degli esercizi ne è priva) e superfettazioni a scopo protettivo, volonterose ma ingenue. Immaginatevi l’effetto deterrente che carta, cartone, adesivi susciteranno nei malintenzionati.
Di sicuro l’effetto annuncio ha funzionato: i cittadini, rintanati nel domicilio, gli esercizi del terziario sbarrati (nell’unica giornata teoricamente feconda), i servizi privati e pubblici sospesi, la comunità idealmente in stato d’assedio.
La democrazia ha già perso; ancor prima che i potenziali malintenzionati si siano messi all’opera”.
Tale è stata, e non altre, la premessa dell’evento che ha inferto a Cremona una profonda ferita.
Ancorché idealmente ultra-convinti della posizione assunta dal Sen. Luciano Pizzetti (“Si denuncia, si isolano i promotori e si impedisce che vengano coinvolte persone per bene. Bisognava prendere le distanze subito, non adesso, si doveva dire alla gente onesta di stare a casa”), non abbiamo potuto esimerci dal prendervi parte, per ragioni di corrette percezione e narrazione dei fatti.
Aggiungiamo solo che la posizione del Sottosegretario democratico non è estemporanea: non solo aveva denunciato gli “occupanti” Autonomi della sede del PDS dell’aprile 1999, ma si era anche costituito parte civile ed aveva testimoniato nel relativo processo (ottenendo la condanna degli imputati).
Già dai primi contatti con i partecipanti, pronti (si fa per dire, visto che il corteo si sarebbe mosso con quasi un’ora e mezzo di ritardo sul previsto, con lo scopo di operare nel buio) a sfilare, non è difficile avvertire che la riprovazione nei confronti degli aggressori di Casa Pound non è la sola motivazione della manifestazione.
Lo si capisce da molte cose; a principiare dalla decifrazione dei partecipanti dagli striscioni e dalle bandiere. Ad eccezione di qualche pezzo d’antiquariato, proveniente dalla sedimentazione comunista e coerente con una parvenza di contiguità/continuità tra alcuni settori dell’ex PCI ed un’aliquota dei manifestanti, vessilli e striscioni appartengono, tutti, ma proprio tutti, alla holding dell’antagonismo corrente.
Non inosservata è la presenza di manifestanti che, per il loro tratto somatico, fanno pensare al successo della campagna di reclutamento, da parte dei circoli antagonistici, nei ranghi dei flussi migratori.
Le “persone per bene” (con l’eccezione dei famigliari del Visigalli e qualche sparuto “idealista”, come Bordo) devono aver sbagliato posto o data.
Che ci faranno, vien da chiedersi, quelle centinaia di ragazzi o di vecchi ragazzi che, nell’abbigliamento (indumenti rigorosamente neri e neri passamontagna probabilmente calati sul volto appena balzati dal letto) e nell’utensileria (manici di piccone già esibiti all’altezza della Palazzina Liberty e zainetti gonfi di quel che si sarebbe saputo) evocano le immagini dei blak bloc?
Mah! Tranquillizzano le voci narranti di Alessandro e Leopoldo, provenienti dal gracchiante altoparlante installato su un furgone decisamente ai limiti dell’omologazione (anche se a targhe schermate). Una sorta di “Venghino venghino a questa pacifica manifestazione di solidarietà con Emilio e di protesta contro il fascismo”. Per lasciare quasi subito spazio ad un po’ meno indeterminato slogan: “Fiducia nello Stato non ne abbiamo: l’antifascismo è rosso e non lo deleghiamo”, alla minaccia rivolta ai fascisti di Casa Pound “Pagherete tutto!”, all’ammonimento “le sedi dei fascisti si chiudono col fuoco”.
Dalla partenza della marcia si avverte una sorta di dinamica all’interno del popolo manifestante: quelli che avrebbero dovuto fungere da titoli di coda (quali li abbiamo descritti più sopra) guadagnano lemme lemme posizioni vieppiù avanzate.
Raggiungeranno, come si è più volte osservato negli ultimi tre giorni, addirittura la testa, all’intersezione con Largo Paolo Sarpi.
La voce narrante del Centro Dordoni si ritirerà discretamente per lasciare i ruoli operativi del prosieguo della performance ai compagni venuti da fuori, all’hora de la verdad (il momento in cui il torero deve affondare la sua spada all’attaccatura del collo dell’animale). A cominciare dall’urlo del nuovo profilo della manifestazione,dall’incipit apparentemente pacifico e sovvertita da un “adelante companeros”.
Dopo di che si sarebbe compiuto ciò che le persone per bene avrebbe definito una follia. In proposito, Shakespeare suggerirebbe: “Era follia; ma c’era del metodo in quella follia “.
E, soprattutto, c’era un progetto, che non si sa bene quanto lucidamente sia stato avvertito dai pubblici poteri, dalla sinistra democratica ed antifascista, dall’opinione pubblica responsabile.
Cremona sembra passata in pochi giorni da un certo ottimismo, riferito alla capacità di metabolizzare senza o con pochi danni una evidente criticità, ad un pessimismo cosmico.
Il prosieguo degli eventi, incardinati dal proditorio ferimento di Emilio Visigalli (al quale auguriamo, senza piaggeria alcuna, di ritornare alla sua famiglia e ai suoi figli), lascia poco spazio ad analisi reticenti o fantasiose.
A proposito di Emilio, non si è capito bene come mai sia stata del tutto lasciata cadere la “provocazione” del blog Il primato Nazionale, rimbalzata, se non erriamo, la settimana scorsa sul Vascello. Che annotava: “Il nome di un certo Emilio Visigalli è stato per qualche tempo famigliare anche nell’ambiente diametralmente opposto. Ovvero nella destra radicale. Fra gli skinhead, per essere precisi. Ordine, autorità, disciplina! Lucida la spranga, prepara la benzina!”
E.V.
In allegato materiali e dichiarazione di Luciano Pizzetti