Massì, ammettiamo, l'aforisma in realtà direbbe “bandiera vecchia, onor del capitano”. Ma, anche un po' adattato, l'aforisma, in scenari deprimenti dal punto di vista delle tensioni ideali, aiuta ad introdurre un bell'evento.
Nei giorni scorsi L'EdP ha dato annuncio dell'evento imperniato sulla consegna, da parte dei socialisti rivoltani alla loro comunità, della bandiera storica della sezione territoriale.
La sezione del PSI di Rivolta d'Adda, una delle prime e delle più importanti a costituirsi, è accomunata nel valore storico alla bandiera, inaugurata esattamente un secolo fa, che, come è agevole evincere dalla scheda divulgativa predisposta da Giuseppe Strepparola, attraversò un percorso non esattamente lineare, per giungere fino al terzo millennio.
Dimostrando grande consapevolezza civile e generosità verso la storia e la comunità, i socialisti rivoltani, ben consapevoli del valore culturale e morale di questo cimelio, lo consegneranno simbolicamente e materialmente al Municipio. Nella cui sede resterà esposto, come segno di appartenenza comunitaria e come memoria dei passati cicli politici ed esortazione per le nuove generazioni.
Se è consentita una digressione, il fatto stesso della committenza da parte dei socialisti alle Suore Adoratrici per l'esecuzione di quello che a pieno titolo può essere definito un manufatto artistico costituisce una chicca.
Nel richiamare le premesse, pubblichiamo di seguito l'approfondimento di Strepparola, che funge da stimolo alla partecipazione all'evento ed alla rivisitazione della storia del socialismo rivoltano e, più in generale, del ciclo del ‘900 di questa importante località del territorio provinciale.
Da ultimissimo, evidenziamo, a dimostrazione dell'importanza di quella storia, il precedente rappresentato dall'attenzionamento di alti e prestigiosi livelli della politica nazionale nei confronti del socialismo rivoltano. Ci riferiamo a Pietro Nenni, il leader socialista indubitabilmente nella stima e nell'affetto dei socialisti di Rivolta. Che, dopo un rinvio causato dal sovrapporsi di impegni, sarebbe venuto nella località rivierasca dell'alto cremasco nell'ottobre del 1947.
La circostanza che all'evento del 1° dicembre partecipi Carlo Tognoli, sindaco di Milano e ministro, che di Nenni, insieme a Craxi, è stato un discepolo, dice dell'indelebilità della carica ideale dei testimoni del socialismo umanitario e riformista.
I cent'anni della
gloriosa Bandiera dei Socialisti rivoltani
1919 - 2019
di Giuseppe Strepparola
(prefazione di Luigi Minuti)
LE BANDIERE ED I SIMBOLI NELLA STORIA
La Bandiera o insegna (così si leggeva nei vocabolari d'ante guerra) è il segno sotto cui si radunano i soldati, le corporazioni, i cittadini negli atti salienti dell'esistenza. Si tratta di un drappo di uno o più colori, attaccato per un lato ad un'asta, e sul quale sono dipinti o ricamati gli stemmi dello Stato o altri segni emblematici di un corpo sociale.
L'origine della bandiera è antichissima, ne troviamo menzione nella sacra Scrittura, nell'Iliade, presso tutte le città e gli stati antichi, presso i Romani con una sorprendente varietà di simboli, la civetta per Atene, la sfinge e la fenice per Tebe, il cavallo alato per i Corinzi.
Romolo fu il primo a levare in aria il ‘manipolo', sostituito poi da una mano aperta sulla punta dell'asta. Si ricorda che i Romani ebbero un ‘signum militare' per la fanteria, un ‘vexillum' per la cavalleria. Da Mario in poi insegna della legione fu l''aquilà, ma reparti inferiori ebbero anch'essi le loro insegne speciali: quella della coorte era di porpora con un drago dipinto o ricamato o con altro animale. Da Costantino in poi venne in uso il ‘labarum' con sopra il monogramma di Cristo.
I Popoli antichi ebbero i loro simboli particolari; i Persiani: il ‘solè o l''aquilà d'oro in campo bianco; gli Indiani il ‘gallò; gli Etiopi il ‘canè; i Germani e i Franchi la ‘tigrè e il ‘lupò, l'aquilà, l'avvoltoiò ed altri ancora; i Galli il ‘gallò il ‘torò, l'orsò, il ‘lupò ed altro ancora; i Goti l'orsò; gli Alani il ‘gattò, i Sassoni un ‘cavallò nero; gli Arabi, anche prima di Maometto, la ‘mezzalunà; i Mori che invasero la Spagna usarono per primi una bandiera triangolare.
Il simbolo della Croce non compare prima del III secolo e il suo colore variò presso i vari popoli: nero presso i tedeschi, giallo presso gli italiani, verde presso i fiamminghi; altrettanto vario fu il colore delle bandiere stesse: l'azzurro, il rosso e il bianco furono uno dopo l'altro i colori nazionali della Francia; il primo con Clodoveo (492), il secondo coi successori di Ugo Capeto (966), il terzo con Carlo VII (1458). I tre colori insieme, cioè azzurro e rosso (che erano i colori propri della città di Parigi) e il terzo che era quello del re, formarono, il 26 luglio 1789, la bandiera nazionale francese.
La bandiera italiana trae la sua origine dal Congresso cispadano delle città di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, il 7 gennaio 1797, nel quale si ordinò che “fosse universale lo stendardo dei tre colori, bianco, rosso e verde”. Però la prima volta ebbe reale valore politico a Reggio Emilia, quando le città cispadane ordinarono che la bandiera tricolore fosse segno d'italianità e sovranità. Mazzini l'adottò per la Giovine Italia, colle tre parole: libertà, uguaglianza, umanità. Nel 1848, Carlo Alberto, passato il Ticino, la sostituì al vessillo sabaudo ed il Tricolore, con al centro lo stemma sabaudo, fu bandiera nazionale del Regno d'Italia per un secolo venendo sostituita dal mero tricolore, senza stemma, con l'avvento, nel giugno 1946 della Repubblica Italiana.
La bandiera dell'Europa raffigura dodici stelle dorate a cinque punte disposte in cerchio su campo blu venne ufficialmente adottata dall'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa il 25 ottobre 1955, estesa alla Comunità Europea nel 1985, è divenuta la bandiera ufficiale dell'Unione Europea, istituita con il Trattato di Maastricht del 1992, da allora la bandiera rappresenta congiuntamente sia il Consiglio d'Europa, sia l'Unione europea. Il numero di stelle non è correlato al numero di stati membri ma riprende un simbolo antico di armonia e solidarietà, per indicare, appunto, l'armonia e la solidarietà che dovrebbero caratterizzare i rapporti tra i Paesi europei.
L'EVENTO DEL CENTENARIO
Quest'anno compie 100 anni la gloriosa bandiera dei socialisti rivoltani. Nel 1919, la Lega dei Contadini di Rivolta d'Adda, che condivideva gli ideali del Socialismo, commissionava alle Suore Adoratrici una bandiera tessuta e ricamata.
La richiesta venne avanzata da Paolo Paolpi, abitante alla cascina Melgherina, a quel tempo Capo Lega e Consigliere Comunale.
Il Paolpi, il 14.10.1924, perseguitato dal fascismo, fu costretto, insieme alla moglie e ai suoi sette figli, all'esilio in terra di Francia dove morì.
Sul settimanale dei socialisti “Libera Parola”, si può leggere che negli anni 1919 e 1920, la rossa bandiera fu, più volte, portata dalla Lega dei Contadini alle manifestazioni che avevano luogo, soprattutto, a Rivolta d'Adda, in piazza Vittorio Emanuele II, a sostegno delle lotte dei contadini e dei braccianti, manifestazioni nelle quali erano presenti gruppi di socialisti del territorio, il deputato del partito Ferdinando Cazzamalli e la Segretaria della Camera del Lavoro di Crema, Anna Adelmi.
La storia della bandiera è ricca di peripezie che hanno colpito la sua integrità. I fascisti rivoltani che la conoscevano bene, la volevano bruciare nella pubblica Piazza. Venne salvata dall'intervento dell'allora Podestà rag. Paolo Manara che bruciò un pezzo di stoffa rosso. Fu seppellita, successivamente, in una cascina rivoltana e poi fu affidata al parroco mons. Stefano Renzi che la nascose in parrocchia.
Quest'ultima ipotesi è stata sostenuta da Valeriano Sartirana, vice sindaco del comune di Rivolta d'Adda che, nel 1966, nella Chiesa di Santa Maria, nel discorso commemorativo nel decennale della morte di mons. Stefano Renzi, ha affermato:
“Ma perché non ci sia chi pensi che quanto Mons. Renzi fece per salvare Guido Miglioli dalla reazione fascista fu carità partigiana, e a riprova di quanto grande fosse la sua visione delle cose e quanto signorile il suo gesto, ci sia consentito di rilevare qui un episodio che a molti Rivoltani non è noto. La rossa bandiera socialista ormai ridotta a cenci, con giusto orgoglio e con forte carica ideale conservata ancora oggi dai Socialisti rivoltani, attese il passare dei giorni più bui proprio nei cassetti della Casa Parrochiale, e fu proprio Mons. Renzi a ridarla alla vecchia e alla nuova generazione socialista. Non esitò a conservarla a casa sua, perché non fosse motivo di reazione e di odio contro altri più di lui indifesi”.
Al termine della seconda guerra mondiale la bandiera ritrovò il suo posto nella sede del Partito Socialista. Più volte venne sollecitato l'onorevole Pietro Nenni, segretario del partito, affinché venisse a Rivolta d'Adda per l'inaugurazione della bandiera. In una sua nota del 30.05.1947 egli scriveva alla sezione del PSI: “l'ostinato vince l'avaro e davanti alla vostra ostinazione bisognerà bene che trovi i modi di venire a Rivolta d'Adda”.
Domenica 26.10.1947, l'onorevole Pietro Nenni mantenne la promessa, e venne a Rivolta d'Adda, accolto, nella Sede del PSI in Via Cesare Battisti, dal Segretario di Sezione, Elia Cremascoli, da Marco Tullio Cazzulani e dal Sindaco Antonio Mandelli e da numerosi concittadini e, in piazza Vittorio Emanuele II tenne un “grande discorso politico”. Il programma della giornata prevedeva alle ore 15,00, il ricevimento delle autorità in Comune da parte del Sindaco Antonio Mandelli, successivamente, un corteo per il paese e omaggio ai partigiani caduti e alle ore 17.00 il discorso di Pietro Nenni, per finire con un grande intrattenimento danzante”.
Lo stesso Pietro Nenni nei suoi diari ricorda l'avvenimento: “26 ottobre: ho trascorso la giornata fra i compagni di Busto Arsizio, Rho e Rivolta d'Adda. Proprio stamani leggevo in non so quale dei tanti giornali borghesi che io sono isolato, può darsi, per rapporto a certi circoli giornalistici, politici, snobbisti. Ma è più che mai forte il mio legame con le masse.
Pioveva oggi e malgrado questo l'affluenza e l'entusiasmo sono stati generali, specie a Rivolta, all'estremo confine del Bergamasco col Milanese. La nostra forza è in questi operai e in questi contadini. Purtroppo il peso che esso esercitano sulla direzione politica ed economica della nazione e dello Stato non è ancora proporzionato al loro numero e alla loro funzione”.
Il 26 aprile 1945 la bandiera fu consegnata ai socialisti da mons. Stefano Renzi così che i cittadini rivoltani la videro sventolare dal balcone del palazzo comunale in occasione dell'insediamento del CNL presieduto, per la circostanza, da Elia Cremascoli.
Il 1° maggio dello stesso anno, la bandiera sfilò per le vie del paese, con partenza dalla sede del partito di via Cesare Battisti. Portabandiera fu Carlo Moroni.
Il 21 settembre1952 venne portata a Genova al congresso dei giovani socialisti suscitando lo stupore tra i presenti. Parteciparono alla manifestazione: Giuseppe Bonadeo, Gaspare Colombi, Giacomino Bolzoni (segretario della sezione), Vincenzo Cornali, Carletto Misani e Italo Crippa.
Il 12 Ottobre 1969, fu organizzata una festa per celebrare i 50 anni della bandiera.
L'allora segretario, Celeste De Bernardi, richiese, con ostinazione, la presenza di un componente della direzione nazionale del partito che incaricò l'onorevole Michele Achilli a presiedere alla manifestazione. Alle ore 10,30 egli tenne il discorso celebrativo in piazza Vittorio Emanuele II. Per qualche ora la sezione venne aperta a tutti coloro che volevano rendere omaggio alla bandiera socialista. Al termine del comizio il prezioso drappo, sorretto dai quattro ex segretari della sezione, venne fatta sfilare per le strade di Rivolta.
Alle ore 11.30 vennero premiati, con una medaglia d'oro e un diploma i “vecchi” socialisti: Umberto Allegri, Alberto Allevi, Enrico Bianchi, Carlo Colombo, Giuseppe Colombo, Pietro Crippa, Arturo De Peccati, Ettore Emendi, Ernesto Gatti, Antonio Giussani, Alberto Lavinci, Antonio Mandelli, Giulio Montani e Agostino Rusconi.
Molti sono i militanti scomparsi, per cui i responsabili del PSI rivoltano hanno giustamente deciso di decorare con medaglia d'oro la bandiera, appunto in memoria di coloro che erano deceduti,
Alla cerimonia erano presenti anche: Oscar Pedroli segretario della DC, Giuseppe Bertazzoni segretario del PCI, Mario Del Bo segretario del PSIUP e Giovanni Caffi, segretario del PLI.
La bandiera sventolò, per l'ultima volta, in una manifestazione pubblica, domenica 8 maggio 1975, giornata che viene ricordata come tra le più memorabili del socialismo cremasco. Il presidente della Camera dei Deputati, onorevole Sandro Pertini, medaglia d'oro della resistenza, celebrò il 30° anniversario della Liberazione in piazza Duomo a Crema, gremita di folla e di bandiere rosse socialiste tra le quali spiccava quella di Rivolta d'Adda.
Dopo il comizio, interrotto da numerosi e calorosi applausi, l'onorevole Pertini fu ricevuto nel palazzo comunale dal Sindaco e dal comitato antifascista.
La bandiera fu sorretta, tra gli altri, dai compagni Beniamino Colombo e Omobono Colombi e da altri socialisti rivoltani, tra i quali gli ex Sindaci Aurelio Cazzulani e Angelo Pasqualini.
Nel pomeriggio l'onorevole Pertini, accompagnato da una folla festante si è recò a Chieve dove inaugurò il Circolo Socialista, dedicato ad Attilio Boldori, e tenne un discorso ricordando il sacrificio del martire socialista cremonese.
Prima di partire in treno dalla stazione di Milano il compagno Alessandro Ruggeri si fece fotografare con l' onorevole Sandro Pertini.
Il 12 ottobre 1989 i socialisti rivoltani vissero un'altra memorabile giornata per il settantesimo della bandiera.
Ospite della manifestazione, tenutasi a Rivolta d'Adda presso la Sala Manzoni, fu Paolo Pillitteri, sindaco di Milano e componente della direzione nazionale del partito e Maurizio Noci che, dopo l'introduzione del Sindaco, Angelo Pasqualini, del segretario della locale sezione del PSI, tenne il discorso celebrativo e consegnò al direttivo del partito una medaglia d'oro. Invano, Giuseppe Strepparola, segretario della sezione aveva sollecitato, con insistenza, che fosse presente Bettino Craxi.
Per l'occasione è stata coniata una medaglia ricordo.
A cento anni di distanza la bandiera dei socialisti di Rivolta d'Adda può, a buon diritto, sventolare alta e fiera. Per certo il moderno PSI non è più quello di cent'anni fa, ma è ammirevole che, nel corso di questi decenni di riflessione e di elaborazione ideologica, maturate nel contesto italiano e europeo, la coscienza socialista sia emersa ringiovanita e piena di quel vigore che sa tramutarsi in nuovi consensi.
Questa bandiera, smunta e lacera nel tessuto, ha attraversato un secolo della nostra storia e deve essere guardata con il rispetto che dobbiamo alla memoria di coloro che, nel tempo, a costo anche della loro vita, hanno condiviso e diffuso gli ideali del socialismo.
Nel corso della campagna elettorale del 1992, l'onorevole Claudio Martelli, giunto a Rivolta per un comizio, ammirò la bandiera esposta in sezione e suggerì che fosse consegnata all'archivio storico del partito a Firenze, invito che non venne accolto dai socialisti rivoltani che, con orgoglio e onore, conservano quella che rimane una delle principali testimonianze delle lotte per la libertà e la giustizia sociale che coinvolsero donne e uomini che hanno creduto nel socialismo.
La bandiera ormai lacera fu restaurata grazie all'opera di alcuni compagni tra i quali: Carmine Cassano e Francesco Penati, con la supervisione artistica di Alessandra Rovelli.
Appunti di storia: Il Partito Socialista Italiano dalle origini al primo Novecento - dell'on. sen. Lelio Basso (1903-1978) -
PRIMA METÀ DEL XIX SECOLO - Con un notevole ritardo rispetto all'Europa anche in Italia inizia la rivoluzione industriale: cautamente finanziata dal capitale agricolo nascono, specie al Nord, le prime manifatture, e con esse inizia a formarsi il moderno proletariato industriale. All'origine gli operai sono poco numerosi e non coscienti del loro ruolo di classe antagonista alla borghesia, subiscono l'influenza delle idee interclassiste ed utopistiche di Mazzini.
Il tentativo del padronato più aperto di “incolonnare" e controllare le prime forze operaie, si attua attraverso la costituzione di società miste di operai e padroni, mazziniane o no. I più seri di questi tentativi sono la costituzione (1853) di una piemontese "Associazione generale degli operai", società mista di lavoratori e padroni, che tiene congressi annuali sino al 1863, quando gli elementi più moderati si scindono, e la costituzione nel '41 della mazziniana "Unione degli operai Italiani", sezione della "Giovane Italia", società pure mista, con un programma politico-sociale utopistico.
1864 - A tre anni dalla proclamazione del Regno d'Italia, si costituisce a Londra la Prima Internazionale Operaia. Mazzini vi partecipa a nome degli operai italiani, e cerca di far prevalere le sue tesi interclassiste: battuto, ne esce e diviene un acceso oppositore di Marx.
Da questo momento però la sostanziale egemonia repubblicana sul Movimento Operaio in Italia si incrina, ed anche se il pensiero scientifico di Marx viene ripreso solo dai socialisti raccolti intorno al giornale "La Plebe" di Lodi, con la I Internazionale nasce e si sviluppa un movimento, quello anarchico, che sostituisce presto î mazziniani nel ruolo di avanguardia rivoluzionaria.
1864- 1877 - Il movimento anarchico in Italia è legato profondamente all'opera di Bakunin: giunto esule a Firenze nel '64, e trasferito poì a Napoli nel ‘67 egli aveva aderito all'Internazionale, cercando di farvi entrare addirittura una associazione internazionale da lui fondata, probabilmente per “conquistarla" dall'interno.
Come ricorda Marx: "Alla fine del ‘68 entrò nell'internazionale il russo Bakunin con lo scopo di creare entro di essa una seconda Internazionale, diretta da lui, con il nome di "Alleanza della Democrazia socialista”, Egli - uomo privo di ogni conoscenza teorica - pretendeva di rappresentare in quell'organizzazione separata la propaganda scientifica dell‘Internazionale e di fare di questa propaganda il compito specifico di questa seconda Internazionale dentro al l'Internazionale”,
Fallito questo tentativo Bakunin non rinuncia ad agire contro Marx e, come dice Engels, egli, che " fino al '68 aveva tessuto intrighi contro l'Internazionale, entrò in questa e subito cominciò all'interno di essa a cospirare contro il Consiglio Generale".
In Italia quindi Bakunin rappresenta sì l'Internazionale ma la frazione anti-marxista: e per suo impulso il movimento anarchico si «estende, sia a Napoli, dove nel '69 fonda una forte sezione dell'Internazionale, sia nel Centro Italia (e specie ad Imola con Andrea Costa), sia nel sud (con Cafiero e Malatesta),
Nel ‘71 gli anarchici riportano un notevole successo. sui mazziniani, riuscendo ad impedire che un Congresso delle Società Operaie, convocato da Mazzini nel novembre in chiave anti-internazionalista, unifichi le organizzazioni operaie sulla base di un “Patto di fratellanza" steso dal Mazzini stesso, e questo sebbene i1 “Patto” venga approvato.
Morto Mazzini nel '72, Bakunin fonda allora una "Federazione Italiana dell'Associazione internazionale dei lavoratori" libera dal controllo della I Internazionale, e nello stesso anno l'Internazionale reagisce espellendo gli anarchici.
Divenuti la forza politica egemone, gli anarchici tentano di attuare la rivoluzione in Italia, e nel loro congresso di Bologna del ‘73 costituiscono un "Centro per la rivolta sociale", diretto da Costa, che promuove nel '74 un'insurrezione in Romagna, che Cafiero e Malatesta avrebbero dovuto riprendere al Sud. L'insurrezione fallisce nello spazio di 24 ore, e Bakunin è costretto a fuggire a Berna dove muore nel ‘76. In un secondo fallimento termina pure nel ‘77, l'occupazione di due villaggi, fatte con l'appoggio delle popolazioni, da Cafiero e Malatesta a Benevento.
1879-1882 - Il fallimento dei moti di Bologna e Benevento, e l'arresto e l'esilio dei Capi, pone in crisi il movimento anarchico: nel ‘79 Costa, tornato in Italia, dopo una profonda crisi si volge al socialismo ed in una lettera "Agli amici di Romagna” invita gli anarchici “ad uscire dall'utopia ed entrare nella realtà delle condizioni economiche”.
Di li a poco anche Cafiero matura nuove posizioni, e nell'82 spinge Costa a presentarsi deputato al Parlamento: così viene eletto il primo deputato socialista d'Italia.
1882 - Si costituisce a Milano, centro dell'Industria Italiana, il Partito Operaio Italiano. La costituzione di questo partito indica, da parte dei lavoratori più Politicizzati: a) l'accettazione del concetto di proletariato come classe antagonista alla borghesia; b) la decisione conseguente di separarsi dalle associazioni miste di lavoratori e padroni e dar vita a un Partito di soli operai (il partito dalle mani callose) anche se questo può portare a forme di corporativismo pericolose, escludendo dal Partito intellettuali, piccoli commercianti etc.; c) la decisione di partecipare alle competizioni elettorali, contro le tesi anti “legalitarie” degli anarchici ed approfittare dell'allargamento del diritto di voto a 2.000.000 di lavoratori, avvenuto giusto nel 1882.
1884 – A seguito della crisi dei cereali del '79 vari scioperi divampano in Italia: il più importante è quello di Mantova dell'84. AI grido de "la boja" nelle provincie di Mantova, Cremona e Rovigo i contadini, raggruppati nelle società di Mutuo Soccorso, resistono per mesi, compatti, nel loro primo sciopero generale.
1884-1890 - Con la crescita quantitativa delle industrie, si sviluppa ed organizza un moderno proletariato industriale. Quasi ovunque dalle Società di Mutuo Soccorso nascono cooperative e leghe di resistenza, e da queste ultime sorgono i primi sindacati di categoria. Iniziano a stringersi i contatti tra lavoratori di diverse professioni, sorgono le prime camere del lavoro, si inizia a festeggiare il 1° maggio rosso.
1891 - L'esigenza di arrivare alla costituzione del Partito della Classe Operaia aveva già spinto Costa, dopo la "Lettera agli amici di Romagna", a fondare nell'1881 i1 settimanale Avanti! ed il Partito Sociali sta Rivoluzionario di Romagna. Nel ‘91 l'avvicinamento di alcuni intellettuali democratici ai lavoratori porta il Partito Operaio a cambiare il proprio nome in Partito dei Lavoratori Italiani, accettando per la prima volta elementi non operai.
1892 — Al Congresso di Genova il Partito dei Lavoratori Italiani è diviso in tre correnti: i socialisti (Turati, Kulisciof, Treves) gli anarchici ed i corporativisti del vecchio Partito Operaio che fanno blocco con gli anarchici. Scindendosi dal congresso i socialisti danno vita ad un partito (che per tre anni ancora si chiamerà Partito dei Lavoratori Italiani) di classe, socialista, e disposto a partecipare alle elezioni.
Questo il testo dell'Atto di fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani votato dal Congresso:
“Considerando
- che nel presente ordinamento della società umana gli uomini sono costretti a vivere in due classi; da un lato i lavoratori sfruttati, dall'altro i capitalisti detentori e monopolizzatori delle ricchezze sociali;
- che i salariati d'ambo i sessi, d'ogni arte e condizione, formano per la loro dipendenza economica il proletariato, costretto ad uno stato di miseria, d'inferiorità e di oppressione;
- che tutti gli uomini, purché concorrano secondo le loro forze a creare e a mantenere i benefici della vita sociale, hanno lo stesso diritto a fruire di cotesti benefici, primo dei quali la sicurezza sociale dell'esistenza;
“Riconoscendo
- che gli attuali organismi economico-sociali, difesi dall'odierno sistema politico, rappresentano il predominio dei monopolizzatori delle ricchezze sociali e naturali sulla classe lavoratrice;
- che i lavoratori non potranno conseguire la loro emancipazione se non mercé la socializzazione dei mezzi di lavoro (terre, miniere, fabbriche, mezzi di trasporto, ecc.) e la gestione sociale della produzione;
“Ritenuto
- che tale scopo finale non può raggiungersi se non mediante l'azione del proletariato organizzato in partito di classe, indipendente da tutti gli altri partiti, esplicantesi sotto il doppio aspetto:
- 1° della lotta di mestieri per i miglioramenti immediati della vita operaia (orari, salari, regolamenti di fabbrica, ecc.), lotta devoluta alle Camere del Lavoro ed altre Associazioni di arti e mestieri;
- 2° di una lotta più ampia intesa a conquistare ì poteri pubblici (Stato, Comuni, Amministrazioni pubbliche, ecc.) per trasformarli, da strumenti che oggi sono di oppressione e di sfruttamento, in uno strumento per l'espropriazione economica e politica della classe dominante
“ I lavoratori italiani, che si propongono la emancipazione della propria classe, deliberano: di costituirsi in Partito, informato ai principi suesposti ».
1893 - Mentre lo scandalo della Banca Romana, coinvolge in un caso di corruzione alte personalità politiche tra cui, con prove in parte false, lo stesso primo ministro, on. Giolitti, i socialisti si ritrovano al II Congresso a Reggio Emilia. Alle elezioni del '92 il partito ha avuto 26.000 voti e 6 eletti, mentre grazie al metodo di iscrizione collettiva di intere associazioni professionali gli aderenti sono circa 120.000. Il congresso ribadisce l'accettazione del principio della lotta di classe.
1894 - Le generali condizioni di miseria delle classi lavoratrici esplodono in Sicilia in un moto spontaneo dei contadini, guidato dai "fasci", organizzazioni di resistenza parte delle quali aderenti al Partito Socialista. Il Partito, che è forte soprattutto al Nord tra le masse operaie, compie una prima scelta fondamentale, e decide di appoggiare le agitazioni dei fasci, operando quindi a livello nazionale; stroncato il movimento dal Crispi, succeduto a Giolitti come primo ministro, nel ‘94, in base alle leggi anti-anarchiche, viene sciolto il Partito Socialista Italiano, assieme alle Camere del Lavoro.