Sono passati molti anni da quando con Caterina, Maria, Savina, Antonietta ed altre donne non iscritte al Partito Socialista, ma altrettanto convinte che si dovevano fare pressioni per cambiare lo status sociale, economico e familiare ed ottenere la parità di genere. Ma alla luce dei fatti dobbiamo purtroppo ammettere che nonostante alcuni traguardi raggiunti quali, la legge 194 per l'interruzione di maternità in strutture sanitarie pubbliche, l'accesso a tutte le facoltà universitarie, il divorzio breve, la riforma del diritto di famiglia, che annullava l'obbligo di assumere il cognome coniugale, e quindi di portare il proprio cognome di nascita. Questi obbiettivi sono stati raggiunti con faticosi cortei coreografici e molti dibattiti appassionati nelle piazze, per richiamare l'attenzione dei media, a quei tempi sempre critici con le donne. Tali obiettivi sostenuti, condivisi e quindi raggiunti grazie ai compagni socialisti, alla rappresentanza in Parlamento della sinistra e ai Radicali. Tuttavia non possiamo ritenerci soddisfatte perché miravamo con tanta convinzione ad una reale parità. Molto devono ancora fare le nuove generazioni, devono a loro volta battersi molto per raggiungere, anche se con azioni meno spettacolari della mia generazione, traguardi imprescindibili quali: la parità di salario, la parità di carriera, la libertà di decidere quando fare i figli senza perdere la continuità di carriera o peggio il posto di lavoro o la preclusione all'assunzione, quando, trovandosi in stato di gravidanza, viene dichiarato nei documenti presentati all'atto di assunzione. Nonostante sia largamente dimostrato che ci sono più laureate donne che uomini e che l'accesso a facoltà universitarie ad indirizzo tecnico scientifico e medico specialistico, in passato prerogativa del genere maschile e da alcuni anni non più precluso al genere femminile. Quando le donne vi accedono, raggiungono la laurea con lo stesso successo se non superiore a quello dei maschi. Nonostante questo, è fortemente radicata la convinzione che la donna sia meno produttiva, soprattutto perché pesa su di lei il fatto che quando diventa mamma ha diritto al congedo obbligatorio post partum. In aggiunta al congedo suppletivo, che può essere richiesto anche dal padre (congedo parentale). Il quale tuttavia ne fa richiesta raramente. La mamma può rinunciare ad una carriera luminosa, mentre il padre la deve consolidare. Per cui sono pochissimi gli uomini che ne fruiscono. Le Imprese anziché creare condizioni per facilitare il lavoro delle donne, anche attraverso la creazione di nidi e micro nidi aziendali, preferiscono non assumere donne. Inoltre, le donne giovani sono doppiamente penalizzate perché giovani e perché donne. E poi c'è la penosa attualità del femminicidio: gli uomini pretendono di essere padroni della vita delle loro compagne; anche forti della consapevolezza che non sempre gli organi di polizia danno peso alle denunce delle donne. Lasciate indifese, non avendo autonomia economica e non sapendo come fronteggiare la vita, rimangono con i loro carnefici giustificando queste violenze come frutto della gelosia perché molto amate. Per questo, invito le nuove generazioni a battersi per le ingiustizie di genere. Diversamente dal passato hanno i media dalla loro parte. Per cui diventa più facile parlarne, ma soprattutto battersi perché le istituzioni creino servizi pubblici per dare asilo immediatamente a chi si sente in pericolo.