Non sempre assistita, e forse per questo, da rilevanti depositi di conoscenza e di spunti, la comunicazione contemporanea tende sempre più ad avvalersi (spesso ad esaurirsi) del ricorso ad un’iconografia d’effetto. Viene chiamata la foto-notizia.
Se ci si passa l’ardimentosa presunzione, avremmo almeno sull’argomento, tanto da dire. Ma, nondimeno, una volta tanto, non resistiamo, anche noi, alla tentazione di un incipit fotografico. Che per il suo profilo esaurirebbe anche il contenuto di ciò che ci interesserebbe comunicare.
In realtà, corre l’obbligo di aggiungere qualcosa di più. Almeno a beneficio della conoscenza dei pochissimi che non conoscono, almeno visivamente, il soggetto effigiato.
Si tratta del prof. Mario Coppetti, 102 anni a novembre. È qui ritratto nel suo atelier di Via Chiara Novella (che meriterebbe una visita dai rilevanti benefici didattici per chi ama l’arte, ma, soprattutto, gli insegnamenti delle esistenze in verticale). Sì, perché la sua è una vita (nonostante le tante candeline, tutt’altro che destinata a repentine conclusione) ottimizzata da impulsi a testimonianze coerenti e indefettibili.
Nell’aderenza ai cardini che devono ispirare l’appartenenza alla comunità; nel contributo civile al suo migliore divenire; nelle attività professionali; nell’arte.
Molti già lo sanno; ma (repetita juvant, alla vigilia di una data che per una siffatta esistenza non può che avere un significato preminente) il cursus di Coppetti si è svolto senza soluzione di continuità nella coerenza e nel rigore di contrasto al fascismo.
L’ambiente famigliare, forse, non fu estraneo a tale scelta. Il padre, ferroviere, fu ben presto epurato per una non nascosta avversione ad un regime; il cui duce aveva proclamato la propria "responsabilità storica, morale e politica" per il brutale assassinio del leader socialista Matteotti. E non fu che l’inizio di uno stillicidio durato vent'anni. In questi vent’anni il giovane Mario crebbe; con l’insegnamento di bravi artisti e docenti dell’arte scultorea e di buoni maestri di buona politica. A Parigi, sarebbe diventato un promettente artista e, a contatto di giganti come i Fratelli Rosselli apostoli del socialismo liberale e di Bruno Buozzi apostolo del sindacalismo riformista, sarebbe diventato un irriducibile testimone di antifascismo.
Rinunciando un po’ a malincuore ad una rivisitazione più ampia, ricordiamo che Coppetti condivise a Cremona l’antifascismo, la Resistenza, la Liberazione con livelli di partecipazione e di rischi notevoli (ed in tempo reale).
Avrebbe condiviso anche la ricostruzione ed il radicamento della nuova Italia repubblicana, delineata dall’antifascismo e dalla Resistenza.
Avrebbe continuato altresì l’impegno di riaffermazione dei valori permanenti ed intramontabili di coesione del Comitato di Liberazione Nazionale; anche in contesti in cui la militanza nell’associazionismo partigiano non era esattamente una passeggiata. Soprattutto, per chi come lui l’anatema dei social fascisti (lanciato da chi, nel frattempo, si apprestava a siglare il patto Molotov-Ribbentrop) funzionava in automatico. A Liberazione avvenuta, tale pregiudizio non si sarebbe mitigato nei confronti dei coerenti testimoni di una versione di antifascismo coerente e tenace, ma non vendicativo, non dogmatico. Inteso come convinta testimonianza dei valori intramontabili che escludono manipolazioni e strumentalizzazioni in vista di traguardi di parte, legittimi ma che non possono ipotecare il segno ecumenico della Resistenza.
Lo ha ricordato il presidente emerito Napolitano: “il 70°della Liberazione: un evento proprio di tutti gli italiani senza alcuna distinzione alcuna e certamente non come punto di riferimento e patrimonio privilegiato di qualche singolo partito. La Resistenza vive nella Costituzione”.
Già, ma, come oggi alla vigilia di una ricorrenza centrale nella vita e nella storia dell’Italia, la lettura del profilo antifascista ha sempre costituito un punctum dolens, un esercizio molto controverso di identificazione dell’appartenenza a campi, rispettabili, ma non esattamente coincidenti con valori ben superiori. Soprattutto, di ostracismo per chi osasse non identificarsi con una lettura ed una narrazione della Resistenza e della Liberazione che non coincidessero con spallate e benoltrismi. Preludio di “paradisi” che, al netto della facile mitologia, si sarebbero verificati liberticidi come i regimi che si vollero cancellare dalla storia.
Con l’ovvio armamentario di collateralismi, di cinghie di trasmissione, di sillogismi, sulla base dei quali posizioni, come quella di Coppetti e, purtroppo, di non moltissimi altri, l’appartenenza all’associazionismo partigiano non era una passeggiata. E, dato che ci siamo, la partecipazione alla manifestazione del 25 aprile ha costituito per i non omologati un’occasione di ulteriore emarginazione ed isolamento.
Ciò, nonostante che grandi uomini e grandi amministratori come Vernaschi, Zanoni, Ghisalberti, Dolci (per citarne solo alcuni) facessero di tutto per fare della rievocazione un momento ecumenico, inclusivo per tutte le testimonianze della fede antifascista.
Anziché consolidarsi col trascorrere del tempo, che avrebbe sempre più confortato le ragioni della libertà e della democrazia (di cui, paradossalmente, sono beneficiari i “nostalgici” del regime sconfitto), l’aderenza e la coesione dell’antifascismo si è andata vieppiù diluendo.
Indubbiamente, a concorrere a ciò un apporto consistente è stato fornito dal progressivo smantellamento dell’associazionismo democratico popolare, dall’illiquidimento del pensiero politico, dalla tendenza sempre più accentuata a sistemi istituzionali ipotecati in senso plebiscitario ed oligarchico.
Per non dire poi, degli assist forniti alla radicalizzazione (per non dire vandalizzazione) delle dinamiche dialettiche da una certa tendenza ad abbozzare di fronte a montanti fenomeni di illegalità. Da parte di un neofascismo sempre più temerario. Come da parte di quel sedicente irriducibile “antifascismo”, che da tempo ha radicato il proprio profilo nella violenza. Fenomeno questo inedito solo per osservatori discontinui e disattenti. Si tratta, in realtà, di un “antifascismo” congenito negli scenari del dopo Liberazione. Se è vero che qualche “dissociato” del calibro di Alberto Franceschini, fondatore insieme a Mario Moretti e Renato Curcio delle B.R., dichiara di tanto in tanto “Noi avevamo come riferimento mitologico la Resistenza”.
D’altro lato, per prendere coscienza di ciò non abbiamo molto spostarci nel tempo e nello spazio da qui.
Da qualche anno sulla celebrazione del 25 aprile aleggia la contromanifestazione revisionista di manipoli in piena regola, che, con la benedizione (è proprio il caso di dirlo) di un prete militante e con l’esibizioni di gesti ed armamentari, violano smaccatamente i divieti di apologia.
Ma pesa anche il valore aggiunto di contestazioni non molto dissimili dallo squadrismo che tacitava gli avversari.
E che ha avuto modo di esercitarsi, come ben sappiamo, all’insegna del riferimento mitologico nella vandalizzazione della città.
In siffatti contesti, ça va sans dire, un establishment politico-istituzionale avveduto (leggasi: con un po’ di sale in zucca), non presuntuoso, non chiuso sarebbe ben consapevole degli aleggianti pericoli di vulgate parificanti fascismo ed antifascismo, di populistiche simmetrie tra destra e sinistra, di erosione tendenziale di quei valori oggetto di rievocazione e celebrazione, di inarrestabile assuefazione al clima di insicurezza e di discontinuità nella vita comunitaria.
Ed, essendo ben consapevole di tutto ciò, si comporterebbe di conseguenza. Ad esempio, operando perché l’evento clou del 70° anniversario della Liberazione tornasse ad unire e, non come si ha motivo di temere, a dividere e a contrapporre più di quanto non sia avvenuto negli ultimi anni e mesi.
Salvo smentite dell’ultima ora, temiamo che ciò non sia esattamente avvenuto.
Il corteo sarà tutto tranne che coeso dal superiore profilo insito nella ratio della celebrazione? Gli interventi dal palco, dio non voglia, saranno disturbati (se non addirittura, come è avvenuto negli ultimi anni) tacitati dalle contestazioni? E, classica ciliegina, il giorno dopo (a seguito degli annunciati divieti più simili alle proverbiali gride) messa del ricordo della buonanima che regalò vent’anni di regime autoritario/totalitario ed una ingiusta, immotivata, devastante guerra?
Se tutto ciò si verificasse, sarebbe un 70°, snaturato nel suo significato e nelle sue finalità; ed una ulteriore occasione divisiva.
Del che, per quanto assolutamente esenti di colpe, saremmo, per consapevolezza dei pericoli e per senso di responsabilità, i primi a dolerci.
Da un anno, l’Associazione Zanoni, sodalizio innanzitutto di cultura antifascista in grado di far convergere le sensibilità di scuola socialista, cristiana, repubblicana, si è adoperata in senso diametralmente opposto.
Abbiamo, col prezioso impegno di ragguardevoli esponenti della vita culturale, recuperato e valorizzato importanti giacimenti documentali. Che, nella fattispecie, hanno permesso di ricostruire e divulgare il “diario” in diretta di Emilio Zanoni sulla Liberazione a Cremona. Abbiamo recuperato i documenti relativi al censimento dei patrioti e Partigiani del Raggruppamento cremonese delle Brigate Matteotti. Che, informatizzati e pubblicati dall’Eco del Popolo, verranno depositati all’Archivio di Stato.
Abbiamo condiviso, ci pare attivamente ed umilmente, tutte le iniziative proposte.
Non abbiamo partecipato agli incontri preparatori del programma celebrativo, svoltisi, pare, sotto egida istituzionale.
Poco male. Abbiamo il dovere anche però di affermare che, se a quegli incontri fossimo stati invitati ed avessimo preventivamente saputo che il parterre dei partecipanti fosse precluso a qualche partner (arbitrariamente) ritenuto poco antifascista, difficilmente ci saremmo stati.
Facciamo, su questo versante, voti perché le prossime ventiquattro ore rimedino ad una menda perniciosa. Per quanto ci riguarda parteciperemo (non potrebbe essere che così!) alla festa del 25 aprile, testimoniando fin in fondo la nostra storia (sull’edizione del 25 aprile L’Eco del Popolo pubblicherà lo stralcio del Socialismo di Patecchio concernente l’apporto socialista alla Resistenza ed alla Liberazione). E condividendo pienamente lo spirito del Sindaco di Cremona: “Vogliamo ritrovare un’idea di comunità aperta. Le strade della convivenza sono strade di giustizia e di non violenza”.
Saremo nel corteo, alla manifestazione nella piazza maggiore della città, all’omaggio reverente al sacrario dei caduti della Resistenza, alla cerimonia di conferimento delle borse di studio (di cui molte intitolate ai sindaci socialisti), cui partecipiamo simbolicamente donando ai vincitori un esemplare del volume dele poesie dialettali di Zanoni (che si aggiunge alla bella ricerca di Giuseppe Azzoni intitolata Bandiere sul Torrazzo).
Soprattutto, saremo, prima del corteo, allo scoprimento della pietà laica.
Realizzata, fusa e collocata (a spese dell’autore) per celebrare degnamente l’epopea resistenziale ed il 70° anniversario della Liberazione.
Grazie, prof. Coppetti. Grazie (visto che per Te non costituisce imbarazzo), compagno partigiano e socialista Mario Coppetti.
Saremo con Te il 25 aprile nelle strade e nella piazza di Cremona.
Ma con Te saremo anche il giorno prima (venerdì 24 con inizio alle ore 15,30) nella bianca città oltre la strada ferrata (come il tuo quasi coetaneo Emilio Zanoni definiva il civico cimitero) sulle tombe di Attilio Boldori, dei Sindaci della Liberazione Calatroni e Rossini ed al tempietto dei Partigiani.
Saranno con noi un altro quasi centenario matteottino, Pino Rossi, presidente dell’ANPI di Casalmaggiore, i figli di Calatroni e di Rossini, i rappresentanti della Civica amministrazione e della Provincia, le associazioni partigiane, i cittadini che vorranno ricordare con noi il contributo dei patrioti matteottini e delle altre formazioni.
Deporremo garofani (tricolori) in segno di coesione anche alla vicina tomba di Ferruccio Ghinaglia.
Nel percorso al civico cimitero ci imbatteremo, nei pressi della sepoltura (per oltre vent’anni nascosta e vilipesa) del primo martire antifascista Attilio Boldori, nella tomba (bizzarrie del destino) dell’ ultimo federale della RSI (per la cronaca, scomparso tranquillamente nel suo letto tanti anni dopo la liberazione).
La curiosa circostanza non turberà certamente i nostri sentimenti.
Forti come siamo della piena, indefettibile convinzione di ribadire, al di là del rispetto della morte, l’inconciliabilità delle ragioni che settant’anni fa regolarono i conti.
E.V.
1° Foto: Mario Coppetti con la Pietà Laica
2° Foto: Il Tempietto dei Partigiani
3° Foto: La Tomba di Boldori