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Nel 71° anniversario rievocato il sacrificio dei fratelli Di Dio partigiani cristiani cremonesi con le stellette

Un raccolto ma molto significativo incontro, promosso dall’Associazione Partigiani di Cremona e svoltosi nella cappella di famiglia presso il civico cimitero, ha ricordato, stamani, il profilo biografico ed il sacrificio di Antonio ed Alfredo Di Dio.

  12/10/2015 22:08:00

A cura della Redazione

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La cui rievocazione risponde oltre che ad un obbligo verso la memoria anche all’imperativo di rimuovere il più possibile la vulgata secondo cui la testimonianza antifascista, la Resistenza e la Liberazione furono prerogativa solo di alcune aree.

Quel ciclo doloroso e drammatico, invece, come appunto il sacrifico di questi due giovani e valorosi cremonesi dimostra, appartiene, ed è doveroso sottolinearlo sempre, ad un’eccezionale convergenza di sensibilità, etiche, morali e culturali diffusamente radicate.

Antonio ed Alfredo, nati entrambi a Palermo, il primo, il 4 luglio 1920 ed, il secondo, il 17 marzo 1922, figli di Adele Calà e del vice-brigadiere Arcangelo Di Dio Emma, si erano perfettamente integrati nella Cremona degli anni trenta. Dopo gli studi liceali presso il Manin, si erano indirizzati verso la Facoltà di Legge a Pavia; da cui sarebbero stati stornati dalle vicende belliche. Che li avrebbero condotti all’Accademia Militare di Modena. La loro giovane esistenza non sarebbe stata scandita solo dagli studi e dalla preparazione militare. Antonio ed Alfredo, infatti, praticavano a buoni livelli l’attività sportiva e, come è stato ricordato dagli oratori della cerimonia, frequentavano con convinzione ed assiduità gli ambienti cattolici.

Avrebbero potuto conformarsi al clima dilagante dell’acritica adesione al regime. Ma forti della loro convinta adesione ai valori religiosi ed etici ricevuti dalla famiglia e dalla formazione cristiana, andarono incontro con serena determinazione alla morte. Antonio il 13 febbraio 1944 ed Alfredo, protagonista di un atto di eroismo, il 12 0ttobre 1944.

La rievocazione della loro breve ma edificante esistenza, avviata dalle parole di Giorgino Carnevali, è stata al centro dell’impegno di attualizzazione, negli attuali scenari, da parte del Sen. Angelo Rescaglio.

Il quale ha preliminarmente fissato nel binomio giustizia e carità il substrato etico e religioso di quel sacrificio; che, in scenari malauguratamente espropriati degli afflati comunitari e, per converso, monopolizzati dagli individualismi, deve continuare a proporsi come ammaestramento soprattutto delle giovani generazioni.

Mons. Vincenzo Rini, sacerdote cremonese e direttore del settimanale diocesano “Vita Cattolica”, impartendo la benedizione al sepolcro di Antonio ed Alfredo Di Dio, ha incardinato tale binomio a valenza etica e spirituale nei Vangeli di Matteo e di Giovanni. Là dove, appunto, si richiamano i valori della carità, della giustizia e della pace; in nome dei quali i due giovani ufficiali immolarono la loro giovane vita.

Ala cerimonia hanno portato l’adesione della Civica Amministrazione il consigliere delegato dal Sindaco, Burgazzi, e, a nome dell’ANPI, Bonetti.

Al grande significato di questa estrema coerenza con il senso di una formazione, contraddistinta dai principi cristiani e dalla testimonianza civile, verrà attribuito il massimo riconoscimento, la medaglia d’oro al valor militare.

Con motivazioni di grande rilievo. Per Antonio: “Partigiano di indomito valore, già distintosi per ardimento ed audacia in numerosi combattimenti, attaccato da preponderanti forze neofasciste, rifiutava l’ordine di sganciarsi dall’accerchiamento e resisteva sul posto animando e spronando i compagni alla resistenza ad oltranza. Accortosi che il suo comandante, rimasto ferito, era stato accerchiato, accorreva vicino a lui per evitare che venisse sopraffatto dal nemico e con sublime spirito di sacrifico ed abnegazione cercava di metterlo in salvo. Cadeva colpito da una raffica di mitraglia che troncava la sua eroica esistenza offerta in olocausto alla redenzione della Patria” (Megolo- Novara).

E per il fratello Antonio, operante nelle Valli Strona, Ossola, Vigezzo, con la seguente motivazione: “Ufficiale dell’esercito in servizio permanete effettivo, fin dal primo giorno della resistenza, fu alla testa del proprio reparto nell’accanita battaglia contro l’oppressore. Organizzò i primi nuclei partigiani e con magnifico ardimento li condusse nell’impari lotta attraverso una serie di audaci imprese. Catturato dal nemico, con sdegnosa fierezza subì i duri interrogatori e, riuscito a farsi liberare, temerariamente riprese il suo posto di combattimento partecipando alle operazioni di combattimento partecipando alle operazioni che, attraverso lunghi mesi di sanguinosa lotta, portarono alla conquista della Val d’Ossola. In questo primo lembo d’Italia valorosamente conquistato resistette per quaranta giorni con i suoi uomini stremati, affamati e male armati contro forze nemiche di schiacciante superiorità, finché con le armi in pugno incontrò eroica morte alla testa dei suoi partigiani”.

 

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