L'ECOFESTADELLADONNA LIKE Note di donna: il meglio 8 marzo
La mostra sarà visitabile fino a domenica 17 marzo dal martedì al venerdì dalle 16.00 alle 19.30 e sabato e domenica dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 19.30, resterà chiuso il lunedì e il giovedì. L'ingresso è libero.
Nel momento in cui ci apprestiamo ad impaginare la comunicazione pervenutaci da Cristina Colajanni, che dell'evento, svoltosi venerdì 8 marzo presso la prestigiosa sala conferenze della Società Filodrammatica Cremonese (sempre sensibile, con il suo Presidente Mantovani, ad accogliere ogni vitalità associativa e culturale) rappresenta la miglior cronaca, non possiamo non spendere qualche parola di apprezzamento sul taglio dell'iniziativa. Con cui AICS-cultura ha voluto, con la mostra allestita e visitabile fino al 17 marzo, celebrare la festa della donna all'insegna del binomio cultura/arte, come antidoto all'assuefazione al grigiore della quotidianità e all'indifferenza nei confronti dei dilaganti fenomeni di brutalizzazione dei costumi.
Che costituiscono due tornanti della regressione civile manifestamente palpabile in un contesto che promette poco di buono, per i contemporanei e, soprattutto, visto che abbiamo già dato ed avuto e visto che il filo delle Parche a noi riservato non è illimitato, per le nuove generazioni.
Ci ha fatto un certo, piacevole affetto assistere a gradevoli espressioni di talento (o, quanto meno, di tentato) figurativo accomunate all'arte della danza, praticata da giovani esistenze, proiettate verso un futuro ispirato dal senso della bellezza e contemporaneamente delle consapevolezze edificanti. Con il loro generoso afflato artistico e civile hanno voluto stimolare le coscienze e le testimonianze di coloro, che non vogliono rinunciare a ricordare, a non perdere di vista l'anniversario e a celebrarlo al di fuori di canoni stereotipati.
Perché sia ben chiaro che il background etico, morale, sociale, culturale e politico che fa da perno alle ragioni della, come si diceva un tempo, “festa della donna” risulta confermato ed amplificato dalle constatazioni derivanti da un presente inquietante e dagli sbocchi potenzialmente involutivi. Per la comunità civile, di cui la quota donna è parte fondamentale, nel suo complesso e per la condizione femminile in particolare.
La stanchezza celebrativa, fatta di mimose e distanchi e stucchevoli rituali permeati da un profilo non raramente dogmatico, costituisce la cifra interpretativa di uno scenario da affrontare sia nella sua generalità sia nella sua specificità, che vede soccombente la condizione di metà dell'umanità ed in controtendenza le conquiste ottenute in decenni di, si diceva un tempo, “lotte”.
L'ossessività di una bulimia mediatica, indirizzata più da deformati imprintig editoriali che da fecondi contributi civili, ha finito, in base alla nota legge del Greesham, per depotenziare la denuncia del retroterra di un processo di imbarbarimento o, nella migliore delle ipotesi, di indifferenza. Di cui la violenza ed il suo più orripilante e crescente versante, che è il femminicidio, costituiscono il lato più vistoso.
Ma, azzarderemmo, pur nella sua emergenzialità, non l'unico od il più importante.
Registriamo in questo 2019, da non molto iniziato ma già denso di inquietanti conferme, un certo affievolimento della ricorrenza nella condivisione del significato e nella testimonianza della sua attualità civile e sociale.
Fatto questo che apparirebbe rivelatore del cedimento di uno dei più significativi perni della partecipazione comunitaria, oltre che dello smarrimento delle consapevolezze, che nel bene e nell'ovvietà, avevano sino a qualche anno l'avevano animata.
In ciò un ruolo non irrilevante può essere stato giocato dalla stanchezza e dalla desuefazione della stucchevole recita del femminismo dogmatico d'antan. Che, non più come un tempo ma ancora significativamente, non sembra disposto o pronto a declinare la problematica femminile nella sua globalità e nei suoi profili principali. In cui non sembrano ritrovarsi, come prioritario, il fascino ed il carattere trainante dello slogan “il corpo è mio e me lo gestisco io”. Un tempo effettivamente rappresentò il frontale delle battaglie per l'emancipazione della condizione femminile, che restava comunque massicciamente ancorata al riconoscimento dei diritti civili e del lavoro.
Ci attireremo delle antipatie e delle inimicizie, ma non resistiamo all'istinto di sottolineare che, specie in un contesto generale proclive ad un tendenziale imbarbarimento epocale, il ricorso permanente a facili succedanei, quali le ossessive “quote rosa”, e l'abuso dell'immaginario veicolato dall'orgoglio di testimonianze, di facciata ma destinate ad incardinare stili esistenziali irrealistici, può aver contribuito ad alimentare un certo disamore nei confronti della, come si diceva un tempo, lotta.
Anche se, da un lato, si rimarca sempre più vistosamente la perdita di collegamento con il retroterra della ricorrenza e dell'imperativo di non perdere la tensione morale sul pezzo e, dall'altro, come hanno acutamente osservato le due brave giornaliste de La Provincia, Barbara Caffi e Mariagrazia Teschi, la celebrazione più palpabile resta prevalentemente ancorata al cult delle “Tavolate rosa in pizzeria, feste di dubbio gusto in discoteca, mimose ovunque e poi tutte a fare la conta delle donne che contano…”
Che, a ben guardare, per alcuni versi, costituiscono per i restanti 364 giorni dell'anno il carburante di stili edonistici ispirati al medesimo dubbio gusto ed alla pretesa di restare, nella loro prerogativa di malintesa libertà senza limiti e senza principi di precauzionalità, in condizione di franchigia dai pericoli derivanti da scenari decisamente calamitosi.
Iddio ci guardi dal rischio di scivolamento sulla buccia di banana del “se la cercano”, ma, indubbiamente, va sottoposta a rielaborazione l'ansia di ambiti qualitativi e quantitativi in cui manifestare, in tempi resi tremendi da una involuzione antropologica percepita, ma temiamo, non ancora approdata al peggio, l'impulso libertario.
Restiamo prudentemente nel vago, resistendo all'impulso di constatare che, se a trent'anni ti sei coniugata per una o due volte, hai messo al mondo qualche creatura da famiglia aperta e ti rifai una vita con la convivenza con qualche campione concreto di problematicità esistenziale, allora…
Osservazione in cui sia ben chiaro non c'è un tentativo di scavallare una problematicità culturale e sociale di valenza epocale; bensì c'è una riflessione (autocritica) sul cedimento dei cardini fondamentali dell'impianto comunitario che sono (o dovrebbero continuare ad essere) la famiglia educante, la scuola formativa, la capacità di separare la pratica esistenziale dall'indotto derivante dalla sovraesposizione a dosi massicce alla virtualità fictionally.
Oh, indubbiamente, come dice oggi sul Corriere il bravissimo Pierluigi Battista, c'è anche quella “gara grottesca che non prevede la minima attenzione solidale e partecipe per l'amara sorte della donna stuprata ma che va dritto allo scopo della polemica politica, ostentata da entrambi i fronti, con uguale, vomitevole cinismo “.
Prima di essere un problema di sacrosante repressione e prevenzione, costituisce una ineludibile questione civile di emancipazione culturale. Che deve colmare quel gap che si è andato ampliando tra una tendenza maschile, apparentemente consapevole del fondamento della parità ma, nei prevalenti comportamenti soggettivi (e/o collettivi), in materia di affettività attestata su un'aspettativa di possesso e comportamenti, nel campo femminile, manifestanti stili di vita, che pur essendo perfettamente legittimi e coerenti con la parità, non sempre appaiono consapevoli della permanenza di larghe fasce di arretratezza.
Essa, però, è una sorta di iceberg, che sotto la linea di galleggiamento trattiene un combinato, meno avvertito e meno focalizzato (anche mediaticamente), fatto di pulsioni restauratrici (leggi il diritto di interruzione della maternità) come di emancipazioni rallentate quando non contrastate manifestamente (l'ampliamento dell'accessibilità ad un lavoro consono al diritto costituzionale, alla dignità del cittadino donna, al riconoscimento della preparazione).
Perché, e ci avviamo alle conclusioni, non bisognerebbe perdere di vista, ancora a ridosso della festa celebrata, la lucida consapevolezza della sovrapposizione al sedime degli attriti frenanti e delle manifeste pulsioni reazionarie, organicamente latenti, del portato dei cambiamenti in corso, forieri di aggravamenti delle condizioni di fragilità.
È per questa serie di motivi che ci permettiamo di aggiungere al cahier di denunce del principale attacco, che è la violenza fisica e morale sulla donna, almeno un altro rimando. La questione femminile arrischia di essere ricacciata indietro da un combinato di cose: l'imbarbarimento delle relazioni sociali in generale, di cui la misoginia è una delle espressioni più evidenti, le ricadute della crisi economica che moltiplicano sulle donne un gap di diritti mai effettivamente colmato (una sorta di gabbia salariale, non di territorio ma di genere), le conseguenze inestimabili ma già avvertibili dei “flussi”.
Da ultimissimo, ci si consentito uno spunto memorialistico di come chi scrive, figlio di un'orgogliosa madre lavoratrice, ebbe a vivere lateralmente la festa della donna.
L'evento, oltre che imperniato nel profilo militante della condizione della donna lavoratrice, costituiva un'occasione di celebrazione comunitaria di fabbrica e di paese.
Intuibilmente sia pur con le ruvidità comportamentali e le ristrettezze di uno scenario non ancora fuoriuscito dalle tragiche conseguenze dell'immane tragedia della guerra, la comunità-fabbrica, che in un centro in cui c'era la fabbrica-paese, diventava la comunità-paese, era ben evidente, anche agli occhi di un bimbo, l'attribuzione a quella ricorrenza del rango di festa partecipata comunitariamente.
Anche dai bambini, che, ancorché inconsapevoli di una lettura più strutturata, ne deducevano il profilo dalla straordinarietà del benefit dispensato dalla fabbrica alle festeggiate. Che le stesse giravano, al ritorno dal lavoro, ai loro pargoli.
Cose da libro cuore, del tutto assenti dagli attuali radars, che inclinano a ben altre percezioni.
Ma volendo chiudere con una nota ottimistica rispetto ad una situazione decisamente problematica, la traiamo tanto dal benaugurante ”Il Ministero della Speranza dice che si può sperare “ di De Gregori tanto dall'auspicio della, ripetiamo, bella iniziativa dell'AICS.
e.v.
Note di Donna di Cristina Colaianni
Cremona – Si è inaugurata venerdì 8 marzo alle ore 17.30 la collettiva degli artisti dell'Aics Cremona Arte Note di Donna presso il Salone della Società Filodrammatici di Cremona, curata e organizzata da Cristina e Stefania Colaianni, rispettivamente presidente e vicepresidente dell'associazione artistica, che hanno aperto l'evento con i saluti di rito, ringraziando gli artisti presenti e spiegando l'importanza che ancora oggi ha una mostra che parla delle donne in tutte le loro forme, ma in particolare hanno esaltato l'immagine femminile come espressione della bellezza e dell'eleganza. Dopo il saluto delle organizzatrici è intervenuto Giorgio Mantovani, presidente della Società Filodrammatici, che ha ricordato il forte connubio che da sempre c'è tra lo storico circolo e il mondo artistico. Diverse le autorità comunali presenti, in primis il Vicesindaco e Assessore allo Sviluppo e all'Istruzione Maura Ruggeri che ha portato i saluti del Comune e ha ricordato l'importante ruolo della donna nella nostra società, sottolineando le loro difficoltà e la pressante necessità di aiuti concreti per garantire un futuro ad un mondo che sta sempre più invecchiando anche per la crescente mancanza di risorse da evolvere per la promozione della famiglia e della donna. La parola è poi passata a Renato Bandera, in rappresentanza dell'Aics Provinciale, che ha sottolineato lo sforzo fatto negli ultimi anni per riuscire a concretizzare questa collaborazione tra lo storico circolo e l'associazione artistica. Al vernissage ha partecipato anche la scuola di danza New Dance Studio C di Carolyn Burnett proponendo due eleganti esibizioni delle allieve della scuola: la prima il valzer by Strauss di Gershwin mentre per la seconda esibizione le ballerine hanno danzato sulle note di Volami nel cuore facendo un omaggio alla cantante cremonese Mina.
Il professor Gianluigi Guarneri ha poi presentato la mostra spiegando come le composizioni dedicate alla donna si diramino tra dinamiche sovrapposizioni di colore e sottese forme scultoree che si propagano nello spazio alla ricerca della bellezza assoluta. Una dimensione sacrale affiora dal mistero della figura femminile che trasfigura la donna in una lirica poesia del creato. Il critico continua spiegando come viva nella donna il desiderio inconscio di libertà che trasfigura l'irripetibile atto creativo di ogni artista in un'opera d'Arte. Guarneri ha poi illustrato e commentato le diverse opere dei 22 artisti presenti: Antonella Agnello raffigura una donna che si libra come una farfalla dalle ali blu e azzurre nell'atto di liberarsi dalla ragnatela dell'oppressione, Marisa Bellini propone un'opera dove i paesaggi e le figure femminili si intrecciano in una complessa stratificazione di forme, Luisa Belloni espone una figura femminile in terracotta che si eleva, in un'elegante postura sottesa, dai fili invisibili della tirannide, l'opera scultorea di Tiziana Bernardi invece raffigura una sinuosa danzatrice colta nell'estremo equilibrio dell'esercizio ginnico, Loredana Boldini dipinge una donna col cappello dai tratti sagomati e sintetici, con Massimo Canesi cangianti tonalità pop esaltano la donna nella sua femminilità, nell'opera di Maria Cavaggioni una raffinata e luminosa figura femminea esce dall'oscurità della prevaricazione, Maria Grazia Cimardi rappresenta una fanciulla posta in un'ardita prospettiva nell'atto di proteggersi da una violenza cupa e inaudita, Stefania Colaianni in tema con la serata propone delle giovani ballerine a riposo dopo una lezione di danza, raffigurate in un momento di intima complicità, una raffinata figura femminile dagli occhi socchiusi è quella rappresentata invece da Annunciata Cusumano, nell'opera di Luigi Dainesi viene invece esaltato l'amore attraverso un bacio rappresentato con forme essenziali e morbide, Giorgio Denti raffigura delle geometriche bagnanti rappresentate in una luce totale che si stagliano in un paesaggio sintetico e silente, Maria Silvia Dioli è in mostra con un intimo autoritratto raffigurato su uno sfondo marino, Marinella Ferrero interpreta la femminilità con soffusi fiori del creato, con Massimo Lo Giudice forme femminili primigenie creano una dolce e originale melodia dell'arcaica sintesi, Isabella Macchi raffigura una donna nella disperata postura della solitudine, Il vaso di Angelo Nava è una sintesi a bassorilievo cromatico di un tenue abbraccio senza tempo, Livio Panni rappresenta Medusa e Dante in un avvincente gioco di colori e di riflessi, Francangelo Papetti propone due teste di fanciulla in terracotta dalla dolce sensibilità plastica, raffinata e toccante è la rappresentazione etnica di una donna proposta da Susanna Poli, Marina Sissa abbandona temporaneamente le sue biciclette per rappresentare una danzatrice che si libra nello spazio cosmico liberandosi dai grovigli dell'anima e infine Eliso Paolo Subacchi racconta con ironia e una bidimensionalità astratta la figura femminile rappresentata da tre musiciste.
La mostra sarà visitabile fino a domenica 17 marzo dal martedì al venerdì dalle 16.00 alle 19.30 e sabato e domenica dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 19.30, resterà chiuso il lunedì e il giovedì. L'ingresso è libero.
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