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Taglio dei parlamentari? Taglio alla democrazia!

Abbiamo ricevuto e pubblichiamo: Iniziativa promossa dal comitato del Partito Radicale contro il taglio alla democrazia

  29/11/2019

A cura della Redazione

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Certamente, in coerenza con la funzione di testata di servizio che supplisce alle amnesie dell'informazione “professionale”, pubblichiamo più che volentieri la locandina-annuncio di un evento politico suscettibile di arricchire le consapevolezze dell'opinione pubblica su un tema, nella condivisione o meno della testimonianza, già oggetto di confronto politico e di un percorso legislativo non esattamente non partisan.

Anche noi condividiamo la percezione del “taglio dei parlamentari” come gesto rispondente ad esigenze identitarie, tanto per citare per filo e per segno, la definizione del gruppo che se n'è intestata l'iniziativa ed il vanto.

Cionondimeno non intendiamo, lo diciamo per chiarezza, aggiungere la nostra posizione ispirata da relativismo gli alti lai della parte che ne iscrive la finalizzazione ad una delenda democratia.

Né, d'altro lato, il caricamento di significati etici (il risparmio di qualche centinaio di milioni spalmati in ragguardevoli anni…con il corollario che il gettito sarà impiegato per…) mostra la corda di un aggregato teorico semplificato e largamente demagogico.

La riflessione, che ci induce a non percepire il taglio come un danno sistemico alla democrazia, è ispirata da consapevolezze più ampie. La prima è che il mantenimento della coerenza coi valori ispiratori della Carta Costituzionale e dell'efficienza del modello liberaldemocratico non dipende dal numero dei seggi.

Nessuno ha ricordato che, prima di pervenire al migliaio di seggi, la Camere erano composte da un numero inferiore. Lievitato, secondo noi, in omaggio al consociativismo e ad un incontenibile dilatazione di un ceto politico-istituzionale specularmente all'invasività dei partiti sullo Stato e sui gangli vitali della rappresentanza e delle funzioni di governo.

D'altro lato, questo splafonamento, lestamente metabolizzato sia dai beneficiari (partiti sempre più mastodontici) sia dal combinato di opinione pubblica e di elettorato stabilmente rapportato in senso sinergico alla casta.

Questo splafonamento non ha riguardato solo la composizione degli organi legislativi; ma si è esteso ai venti parlamenti regionali (che avrebbero dovuto rendere obsolete le funzioni delle istituzioni intermedie) e, a scendere, a livelli inferiori.

Ne hanno tratto vantaggio la saldezza e l'efficienza della democrazia?

Perché dovrebbe essere ben chiaro (si badi bene, non diciamo condiviso) il fatto che, a partire dalla “Legge truffa” del 1953, chiunque avesse voluto porre il problema di un efficientamento della macchina istituzionale è stato iscritto d'ufficio nell'elenco degli attentatori alla Costituzione. Pur nella pretesa di essere accreditato come ispirato da volontà riformiste.

Risparmiamo una lunga elencazione di Commissioni parlamentari per le riforme istituzionali, tanto pletoriche quanto candidate al default.

L'ostracismo, d'altro lato, era stato ferreo anche e soprattutto nei confronti della Grande Riforma dei socialisti; che, nella prima metà degli anni ottanta avevano avanzato un'organica proposta di modernizzazione dell'impianto istituzionale e delle funzioni legislative e di governo. Che teneva conto del fact checking dei primi quarant'anni di vita repubblicana e dei necessari aggiustamenti postulati dalla necessità di non eludere il senso dei cambiamenti, interni ed internazionali.

Il profilo più evidente era (ed è) rappresentato dall'ineludibile correzione di due camere legislative investite di una doppia lettura. Che non esiste in nessuna latra parte del mondo liberaldemocratico e che è stata per mezzo secolo funzionale al sistema bloccato dal consociativismo e che, oggi, costituisce l'alimento di una democrazia malata, sfibrata dal contrasto tra il vecchio ordinamento e le pulsioni populistiche.

Renzi non fu un attentatore alla Costituzione Repubblicana. Fu solo un pasticcione gradasso, che, però, pose per la prima volta le carte sul tavolo.

Sbagliano i tagliatori di seggi a far coincidere la loro idea di riforma nella riduzione numerica della composizione delle aule parlamentari.

Che costituisce un minimo sindacale riformista che non modificherà in niente (salvo piccoli effetti collaterali come l'incidenza sul corpo elettorale della massima magistratura) le distorsioni del sistema.

Sbagliano i (per autodefinizione) difensori della Costituzione e della democrazia quando limitano la controproposta riformista al mantenimento di organi pletorici.

Il tavolo va letteralmente rovesciato: bisogna ripartire da una visione organica delle claudicanze e delle arretratezze di un modello che, in 70 anni, ha dato (nel bene e nel male) ciò che poteva dare. Rebus sic stantibus, altro non può dare (se non aggiungere inefficienze ed incancrenire una democrazia rappresentativa in stato pre-comatoso).

Da cui non si uscirà se non attraverso un confronto a carte scoperte, che partisse da perni condivisi e dal bene comune.

Da ultimo, non possiamo non segnalare (negativamente) il combinato disposto tra riforme istituzionali (che restano malinconicamente al palo) ed il sistema elettorale. Evidenziando il pessimo vizio italiano di por mano all'impianto della legge elettorale ad ogni stormir di fronda coincidente con ogni nuovo Parlamento e con le incoercibili pulsioni a modellarla a seconda dell'adattamento all'esigenza, nella contingenza in cui prospetta un insuccesso nelle urne, a limitare il danno con il paracadute del proporzionale puro, ovvero al calcolo strumentale di prendere tutta la posta con il ricorso al maggioritario.

Per queste ragioni non ci iscriveremo mai, un po' per principio ed un po' per valutazione dello stato dell'arte, a qualsiasi comitato che abbia come mission il NO.

(e.v)

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