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2 Giugno - La controcopertina

Sudditi-cittadini-utenti/clienti: il tramonto della politica e dell'individuo quale attore politico

  02/06/2020

Di Redazione

2+Giugno+-+La+controcopertina

Riceviamo e pubblichiamo di buon grado il contributo di Massimiliano Alesio, segretario comunale di Casale Cremasco-Vidolasco ed altri comuni del cremasco. Un elaborato, il suo, inquadrabile in una sorta di "controcopertina" del 2 giugno, festa della Repubblica, ma anche dei suoi cittadini che nel 1946 cessarono di essere sudditi. Cos'è cambiato da allora?

La centrale ricorrenza del 2 giugno 1946, solo in parte attenuata dai nefasti effetti dell'emergenza pandemica tuttora in corso, pone al centro dell'attenzione di tutti il simbolico e decisivo passaggio da "sudditi" a "cittadini". Con la Costituzione Repubblicana, approvata poco tempo dopo, si completava e si sublimava tale passaggio quale evento imprescindibile per la nascente democrazia italiana. I governati non sono più sudditi, ma diventano "cittadini", cioè soggetti legittimati a partecipare alla comunità politica, organizzata in Stato, attraverso diversi strumenti, quali il voto universale, gli istituti di democrazia diretta, l'eleggibilità di quasi tutte le cariche pubbliche. Il cittadino, diversamente dal suddito, ha, dunque, il diritto di prender parte alla formazione e definizione dell'indirizzo politico generale dell'intero paese: ha il diritto di partecipare alle "scelte generali" del paese, in quanto "civis", componente paritario, in un contesto di eguali, di una comunità politica e sociale.  In un contesto di "eguali", in quanto l'eguaglianza (art. 3 Costituzione) è il principio baricentrico dell'intera organizzazione costituzionale. In tal senso, fortemente suggestiva è la nota fotografia del Re Umberto II, che sta per votare in occasione proprio del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, nella scuola elementare Principessa Mafalda, in via Lovanio a Roma. Il sovrano, che di lì a poco dovrà abbandonare il territorio nazionale, è uno dei tanti cittadini, che sono chiamati alle urne: la nascente democrazia degli eguali.

Certo, questa era, ed è sempre stata, solo una "tendenza", la meta del lungo percorso (mai ultimato) di una reale eguaglianza (mai raggiunta). Una tendenza, tuttavia, che ha animato la crescita democratica del nostro paese, ponendo al centro di tutto, il "cittadino", appartenente e partecipante all'interno di una comunità di eguali.

Orbene, tutto questo, connotato da un certo ed ovvio tasso di ingenuità, si è perso da tempo, a fronte dei non più recenti sviluppi socio-politici. Il segno, il simbolo di tale mutamento è fortemente rinvenibile anche nella semantica, cioè nei termini, nelle parole, che, anche a livello ufficiale, è facile rinvenire. Intendo alludere al termine "utente", che, già da qualche tempo, ha sostituito l'oramai sorpassato e desueto termine di "cittadino". Occasione di tale riflessione è stata cagionata dalla lettura dell'abbondante produzione normativa emergenziale, che, in periodo di contagio pandemico, è stata riversata su tutti noi (cittadini), oltre che dal puntuale articolo di Antonio Grassi in tema di burocrazia e politica (Burocrazia: l'Italia che nessuno vuole; 25 maggio 2020). 

Un testo, invero mi ha particolarmente colpito: nell'ordinanza del presidente della Regione Lombardia n. 546 del 13 maggio 2020, in tema di misure di contrasto all'emergenza pandemica, vengono posti a carico dei datori di lavoro, sia privati che pubblici (quindi, anche la Pubblica Amministrazione), una serie di prescrizioni, fra cui l'obbligo del controllo della temperatura corporea del personale prima dell'accesso al luogo di lavoro. Orbene, al punto successivo dell'ordinanza, si legge quanto segue: "b) Si raccomanda fortemente la rilevazione della temperatura anche nei confronti dei clienti/utenti, prima dell'accesso". Dunque, tutti coloro che si recano presso un impresa privata o presso una Pubblica amministrazione non sono cittadini, non sono "persone", cioè soggetti appartenenti alla specie umana, ma "utenti", "clienti". Certo, non è la prima volta che viene utilizzato il termine di "utente", in luogo di quello di cittadino. Le ragioni di tale utilizzo sono note ed affondano le loro radici giustificative nel fatto che, anche nel nostro Paese, a causa dei considerevoli fenomeni di immigrazione, pure i soggetti privi di cittadinanza possono accedere ai servizi pubblici, essenziali o meno, assumendo la qualità di utente. Tutto vero. Ma, è parimenti vero che l'utente e il cittadino sono due figure non coincidenti, dal momento che attengono a rapporti differenti.  La "cittadinanza", concetto rafforzatosi grazie anche alla rivoluzione francese, costituisce un rapporto stabile e duraturo con lo Stato, un rapporto di appartenenza, che presuppone dei requisiti molto precisi. Viceversa, il concetto ed il rapporto di utenza esprime un qualcosa di relativo e transeunte:  un rapporto che si instaura, volta per volta, mediante una scelta (talvolta obbligata) dell'utente medesimo, il quale chiede un servizio. Non tutti i cittadini sono utenti e non tutti gli utenti sono cittadini, anche se questi ultimi sono normalmente anche utenti, specialmente di servizi pubblici essenziali. Pertanto, i due concetti presentano un'intersezione, laddove l'utente sia anche un cittadino, ma divergono, ad esempio, nel caso in cui sia utente uno straniero regolarmente soggiornante. Da un lato, quindi, la cittadinanza attiene al rapporto uomo/Stato quale entità politica, dall'altro, l'utenza attiene al rapporto uomo/Stato inteso come ente erogatore di servizi. 

Certo, i due concetti presentano un punto di possibile congiunzione. Infatti, occorre osservare che i servizi pubblici (in particolare quelli essenziali) non possono essere ricondotti tout court a meri contratti fra i cives. L'utente è il fruitore di un servizio; mentre l'utente di un servizio pubblico è fruitore di un servizio, che lo Stato, in qualità di entità politica e non come mero operatore economico (!), ha deciso di erogare direttamente. Ciò, o perché trattasi di una "funzione" (più che di un servizio), connaturato alla sovranità medesima (ad es. giustizia, ordine pubblico, etc.) o perché ritenuto essenziale all'esistenza e sviluppo della persona umana (ad es. sanità, educazione, etc.). Se, quindi, appare possibile definire l'utente di un servizio privato quale "abitante ed attore" del mercato, l'utente dei servizi pubblici è, sempre, un "qualcosa" di diverso: è un abitante ed un attore esclusivo di quel particolare mercato (il mercato dei servizi pubblici),  anzi è il soggetto per il quale quel peculiare mercato è stato creato, al fine di essere maggiormente tutelato come persona e cittadino.  

Dunque, l'utente dei servizi pubblici non è propriamente un utente "normale", in quanto la controparte non è un operatore economico qualsiasi (un impresa, una società, una cooperativa, un consorzio di imprese, etc.), bensì è lo Stato, la Pubblica Amministrazione erogatrice di servizi e sottoposta a regole e principi di universalità ed eguaglianza. 

Se, quindi, l'utente di un pubblico servizio (a maggior ragione: l'utente di una funzione pubblica) è un "qualcosa" si diverso da un utente di un servizio privato, mal si comprende il perché, accanto al termine "utente", anzi prima, venga posto il termine, ancor più forte sotto il profilo economicista e mercatista, di "cliente". Senza voler approfondire troppo, il termine cliente, come noto, indica il soggetto che acquista, che compera un bene od un servizio. E' il soggetto che, operando in una pura logica di mercato, ha bisogno di un qualcosa (bene o servizio) e lo cerca, lo esige, dietro il corrispettivo di un prezzo. Esige che il bene sia funzionale, privo di vizi e garantito. Il resto non conta, in quanto è totalmente assente qualsivoglia prospettiva di partecipazione ad una comunità politica e di esercizio di diritti all'interno di quella comunità.

Dunque, il termine "cliente/utente" esprime e dà il senso compiuto di un notevole cambiamento, invero già in atto da tempo. Ed, infatti, non è da ieri che si discetta di una presunta "democrazia dei consumatori" (quali clienti/utenti), in quanto questi ultimi sembrano poter orientare la produzione ed i prezzi, attraverso la domanda. Vero, in parte, in quanto è parimenti e soprattutto vero che la "democrazia dei cittadini" è un'altra cosa, che non può essere sostituita da quella dei consumatori.  In particolare, è necessario soffermarsi sull'indispensabile ruolo prodromico, che i cittadini (e non gli utenti/clienti) pongono in essere nell'esercizio della sovranità, che, giova ricordarlo, dovrebbe appartenere al popolo e non ai consumatori. A ben vedere, l'azione delle associazioni dei consumatori ed utenti non è portata avanti tramite una dialettica democratica, dentro le istituzioni parlamentari, che devono sintetizzare gli interessi configgenti, ma attraverso meccanismi di lobbying e di governance, quindi fuori dalle procedure costituzionali e democratiche, dove però si incontrano con gli interessi economici organizzati, che da tempo lì si sono insediati. E' vero che, oggi, il movimento dei consumatori è diventata l'élite del purtroppo informe e generico aggregato dei cittadini, élite che, sola, si ritiene presuntivamente legittimata a rivendicare diritti nel mercato e ad agire nell'ambito di esso e non nelle sedi politiche e costituzionali.

Ma, tutto questo è il prodotto di che cosa? 

La risposta non è difficile, seppur poco lieta.

Le imperfezioni del circuito democratico-rappresentativo e la sua riscontrata incapacità a rappresentare integralmente gli interessi dei cittadini e non dei soli consumatori accreditano alcune "avanguardie" a rappresentare gli interessi settoriali dei consumatori medesimi. Il successo di tali organizzazioni nasce dalla critica alla democrazia rappresentativa, che andrebbe sempre respinta. Le organizzazioni dei consumatori (clienti/utenti), che non devono essere affatto guardate con sospetto, conseguono successi in ragione della crescente sfiducia nella politica. Non vi è dubbio che la crescita dei movimenti dei consumatori va di pari passo con il declino delle forme tradizionali di impegno sociale e di partecipazione politica. I cittadini diventano utenti/clienti laddove abbandonano completamente l'idea di collettività e di società democratica per affidarsi al mercato e, non tanto sorprendentemente, al giudice. Infatti, appare innegabile la sempre più diffusa emarginazione degli organi politici a favore di quelli giudiziari (i tribunali), assunti come luogo preferito dai consumatori e dagli utenti (abbandonate le vestigia di cittadini), per vedere tutelati dei diritti, precedentemente “gestiti” dalle naturali forme  ed organizzazioni politiche, in conformità alla Costituzione.

Si assiste, pertanto, al "populismo del mercato", ovvero alla concezione che solo in quest'ultimo vi sia totale libertà di scelta e, quindi, democrazia (!). A questo punto, appare davvero lucida l'analisi di un maestro del pensiero contemporaneo, Bauman, il quale, in una sua nota opera (Homo Consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi) afferma suggestivamente:  "In controtendenza rispetto al principio che ha guidato l'epoca moderna, cioè l'espansione della partecipazione politica, il “populismo del mercato” proclama la politica il nemico numero uno della democrazia e considera, invece, il mercato come lo strumento democratico più affidabile (se non addirittura l'unico possibile)". Un giudizio forte, ma indubbiamente realistico se sol si pensa a quella vastissima porzione di servizi, che prima era affidata alla cura di Enti pubblici, anche di enti locali. In buona sostanza, occorre prendere atto che l'"utente" si è sostituito al "cittadino",  poiché solo il primo sembra vantare degli strumenti di controllo efficaci (customer satisfaction, carte dei servizi, class action contro la P.A., Autorità amministrative indipendenti, etc.), mentre il circuito cittadinanza-rappresentatività è stato del tutto depotenziato.

Con il passaggio definitivo da "cittadino" a "cliente/utente", tende a perdersi, a collassare anche il concetto di individuo come "persona", come mirabilmente evocato da Aldo Moro, in occasione della sua prima lezione all'Università di Bari, il 3 novembre del 1941, in un periodo in cui la democrazia ancora non vi era: "la persona prima di tutto"! Questo disse Moro all'inizio della sua lezione. Un'affermazione coraggiosa e piena di valori, declamata in un periodo non certo tranquillo per la libera manifestazione del pensiero.  Purtroppo, con il declino del concetto di cittadino e di persona non può che tramontare anche la "politica" e la soggettività politica degli individui, quali appartenenti ad una comunità di eguali.

Massimiliano Alesio

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